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Visualizzazione dei post da 2009

25 dicembre 2009 - Natale del Signore

Nella prospettiva umana, luce e vita sono distinte: la luce è quello che mi serve per arrivare alla vita. La conoscenza mi dà il segreto della vita. E, inversamente, la vita che bramo è cieca, senza luce. Invece: Gv 1,4 ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν, καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων - in lui era vita, e la vita era la luce degli uomini. La luce è la vita che si trova nel Logos incarnato. La luce non è ciò che permette di arrivare alla vita, ma è la stessa vita; e la vita non è quello che a me pare "vita", e non costituisce nessun obiettivo che posso darmi per conto mio al di fuori della luce, ma "vita" è quello che si trova in Cristo, che perciò può dire: "io sono la luce, io sono la vita". Esse dunque si fanno accessibili nel rapporto personale con lui. Che cosa, per me o per te, in questo momento o in un altro, rappresenti "la vita" è in fondo secondario, nel senso che, semplicemente, non è quello. "Quello" è ombra, immagine, apparenza, segno della

19 dicembre 2009 - IV domenica di Avvento

Ebrei 10,10 In questa volontà siamo santificati attraverso l'offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per tutte. ἐν ᾧ θελήματι ἡγιασμένοι ἐσμὲν διὰ τῆς προσφορᾶς τοῦ σώματος Ἰησοῦ Χριστοῦ ἐφάπαξ. Nel passo dell'epistola si cita il salmo 40, vv. 7-9, dove qualcuno afferma di venire per fare la volontà di Dio, che non vuole sacrifici (di animali), ma piuttosto l'obbedienza. L'incarnazione è finalizzata all'offerta del corpo di Cristo sulla croce. Qui si realizza il proposito di Dio: la nostra santificazione. Dal punto di vista del mistero, il proposito divino è del tutto compiuto: siamo perfettamente santi. Dobbiamo però diventare nella realtà effettiva ciò che già siamo nel proposito di Dio; diventare quello che effettivamente possiamo grazie all'offerta di Cristo. Guardando il bambino Gesù, noi dunque vediamo già la sua croce e la nostra vocazione. Insieme al capo, nascono anche le membra: Generatio enim Christi origo est populi christiani, et natalis capitis

12 dicembre 2009 - III domenica di Avvento

Filippesi 4,4-5 4 Χαίρετε ἐν Κυρίῳ πάντοτε: πάλιν ἐρῶ, χαίρετε. 5 Τὸ ἐπιεικὲς ὑμῶν γνωσθήτω πᾶσιν ἀνθρώποις. Ὁ Κύριος ἐγγύς. Gioite nel Signore comunque; lo ripeterò ancora: gioite! La vostra benevola mansuetudine sia nota a tutti. Il Signore è vicino. Come Giovanni, che nel grembo della madre balza di gioia sentendo la presenza di Gesù (e di Maria), il cristiano gioisce di una prossimità avvertita. E' la gioia del tempo di avvento, liturgico e di ogni giorno, che viviamo nell'attesa di un incontro. Questa vicinanza è al tempo stesso presenza e assenza. Non assenza completa - allora il tempo sarebbe vuoto - né presenza piena - allora non c'è più niente da aspettare e tutto deve accadere ora -. Solo tra questi poli scocca la scintilla miracolosa della speranza cristiana e della gioia che ne scaturisce, la quale esclude ogni aggressiva intolleranza e lascia guardare all'altro con paziente amabilità.

5 dicembre 2009 - II domenica di Avvento

Filippesi 1,9-11: 9 Prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e piena percezione, 10 per distinguere quello che davvero fa la differenza, e così siate limpidi e irreprensibili in vista del giorno di Cristo, 11 ripieni del frutto di giustizia che si ha per Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio. trad. CEI: 9 Perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, 10 perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, 11 ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio. 9 καὶ τοῦτο προσεύχομαι, ἵνα ἡ ἀγάπη ὑμῶν ἔτι μᾶλλον καὶ μᾶλλον περισσεύῃ ἐν ἐπιγνώσει καὶ πάσῃ αἰσθήσει, 10 εἰς τὸ δοκιμάζειν ὑμᾶς τὰ διαφέροντα, ἵνα ἦτε εἰλικρινεῖς καὶ ἀπρόσκοποι εἰς ἡμέραν Χριστοῦ, 11 πεπληρωμένοι καρπὸν δικαιοσύνης τὸν διὰ Ἰησοῦ Χριστοῦ εἰς δόξαν καὶ ἔπαινον θεοῦ. Ancora una carità che deve crescere senza limiti. La misura dell'amore è amare sen

Amore e Psiche: una lettura

Amore, figlio di Venere, si innamora della bellissima Psiche. I genitori, istruiti da un oracolo, portano la figlia vestita a nozze su una montagna, e la lasciano sola. Un venticello la trasporta in un palazzo meraviglioso. Lì il suo sposo misterioso (Amore) viene la notte a visitarla. Lei però non deve chiedere chi sia e soprattutto non cercare di guardarlo, ma accontentarsi del suo amore. (Il motivo di questo segreto è la gelosia di Venere, che non deve sapere dell'unione.) Istigata dalle sorelle, che le hanno instillato il dubbio, Psiche vuole vedere il marito mentre dorme dopo l'amore. Lo vede bellissimo ma, svegliato da una goccia d’olio bollente caduta dalla lampada, egli si eclissa. Psiche, disperata, sa infine che il problema è la suocera, Venere, in competizione con lei a motivo della bellezza. Cerca di riconciliarsi e, per rivedere Amore, Venere le impone quattro prove in realtà insuperabili: 1. i semi 2. la lana d'oro 3. l'acqua sacra 4. il vaso della bellezz

29 novembre 2009 - I domenica di Avvento

1Tessalonicesi 3,12-13: 12 E il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore gli uni verso gli altri e verso tutti, come anche noi verso di voi, 13 per rendere i vostri cuori saldamente irreprensibili nella santità davanti a Dio e Padre nostro, alla parusia del Signor nostro Gesù Cristo con tutti i suoi santi. Amen. 12 ὑμᾶς δὲ ὁ κύριος πλεονάσαι καὶ περισσεύσαι τῇ ἀγάπῃ εἰς ἀλλήλους καὶ εἰς πάντας, καθάπερ καὶ ἡμεῖς εἰς ὑμᾶς, 13 εἰς τὸ στηρίξαι ὑμῶν τὰς καρδίας ἀμέμπτους ἐν ἁγιωσύνῃ ἔμπροσθεν τοῦ θεοῦ καὶ πατρὸς ἡμῶν ἐν τῇ παρουσίᾳ τοῦ κυρίου ἡμῶν Ἰησοῦ μετὰ πάντων τῶν ἁγίων αὐτοῦ. L'unica strada per renderci capaci di presentarci con fiducia al cospetto del Signore e dei Santi è il tendere alla sovrabbondanza dell'amore. Le strade infatti sono due: l'amore cresce o diminuisce, diviene più ardente o si raffredda, sempre più vivo o si avvia alla morte. Perché gli spiriti sono due e conducono a opposti esiti, mai accontentandosi, ciascuno per proprio conto, dei risultati

(5*1/2)-(4*1/4)+(2*3/4)=0

Compensazione e detrazione, di Erich Fried Dunque: Tu hai avuto, dici, cinque mezzi amori e quattro di minore importanza, che tu consideri come un quarto di amore? Sì, e poi si aggiungono due grandi amori… grandi, non del tutto grandi, pensi, e li chiami tre quarti di amore Questo sarebbe dunque dici lo stesso che cinque veri grandi amori Sì, tutto insieme fa cinque, ma come, se gli amori da un quarto e quelli da tre quarti sono da compensare con i mezzi amori? Essi si annullano a vicenda e allora tu non hai in tutta la tua vita avuto nemmeno un vero grande amore. Auf- und Abrechnung Also: Fünf halbe Lieben hast du, sagst du, gehabt und vier geringere, die du nur als Viertellieben betrachtest? Ja, und dazu kommen zwei große Lieben große, nicht ganz große, meinst du und nennst sie Dreiviertellieben Das sei also sagst du dasselbe wie fünf ganz große Lieben Ja, alles zusammen gibt fünf Aber wie, wenn die Viertellieben und Dreiviertellieben gegen die halben Lieben aufzurechnen sind? Das he

Grandezze

In tempi di febbre da Superenalotto, smania di farsi notare ad ogni costo e megalomanie varie, ho riletto con gusto questo celebre aneddoto, narrato da Plutarco, su Alessandro Magno e Diogene (Vita di Alessandro, 14):  Εἰς δὲ τὸν Ἰσθμὸν τῶν Ἑλλήνων συλλεγέντων καὶ ψηφισαμένων ἐπὶ Πέρσας μετ'Ἀλεξάνδρου στρατεύειν, ἡγεμὼν ἀνηγορεύθη. Πολλῶν δὲ καὶ πολιτικῶν ἀνδρῶν καὶ φιλοσόφων ἀπηντηκότων αὐτῷ καὶ συνηδομένων, ἤλπιζε καὶ Διογένην τὸν Σινωπέα ταὐτὸ ποιήσειν, διατρίβοντα περὶ Κόρινθον. Ὡς δ'ἐκεῖνος ἐλάχιστον Ἀλεξάνδρου λόγον ἔχων ἐν τῷ Κρανείῳ σχολὴν ἦγεν, αὐτὸς ἐπορεύετο πρὸς αὐτόν· ἔτυχε δὲ κατακείμενος ἐν ἡλίῳ. Καὶ μικρὸν μὲν ἀνεκάθισεν, ἀνθρώπων τοσούτων ἐπερχομένων, καὶ διέβλεψεν εἰς τὸν Ἀλέξανδρον. Ὡς δ´ἐκεῖνος ἀσπασάμενος καὶ προσειπὼν αὐτὸν ἠρώτησεν, εἴ τινος τυγχάνει δεόμενος, «Μικρὸν» εἶπεν «ἀπὸ τοῦ ἡλίου μετάστηθι». Πρὸς τοῦτο λέγεται τὸν Ἀλέξανδρον οὕτω διατεθῆναι καὶ θαυμάσαι καταφρονηθέντα τὴν ὑπεροψίαν καὶ τὸ μέγεθος τοῦ ἀνδρός, ὥστε τῶν περὶ αὐτὸν ὡς ἀπῄεσαν διαγελ

Semplici o doppi?

In un articolo odierno scrive G. Zagrebelsky: Gesù di Nazareth impartisce ai discepoli due comandamenti, all'apparenza contraddittori: "Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5, 36) e "siate avveduti (phronimòi) come serpenti" (Mt 10, 16). Da un lato, dunque, rispecchiare la verità, né più né meno; dall'altro, usare la lingua biforcuta del "più astuto tra tutti gli animali" (Gn 3, 1). Come si scioglie la contraddizione? In un modo molto interessante per la nostra questione. Il primo comandamento vale nei rapporti tra leali appartenenti alla stessa cerchia, in quel caso i credenti nella medesima parola di Dio ("avete inteso che fu detto ..., ma io vi dico"). Il secondo vale quando le pecore (i discepoli) sono inviati in mezzo ai lupi, gli uomini dai quali devono "guardarsi" con accortezza. Ritengo questa esegesi del tutto erronea. 1. Basta leggere l'intero versetto: "Ecco, io vi mando come

Ego sum Via

"E' meglio zoppicare sulla via che camminare speditamente fuori da essa" (Melius est enim in via claudicare, quam praeter viam fortiter ambulare), aveva affermato S. Agostino concludendo un suo sermone su "io sono la Via" (Discorso 141,4). S. Tommaso commenta: "Infatti chi zoppica sulla via, anche se avanza poco, si avvicina pur sempre alla meta; chi invece cammina fuori della via, quanto più rapidamente corre, tanto più si allontana dalla meta" (Nam qui in via claudicat, etiam si parum proficiscatur, appropinquat ad terminum; qui vero extra viam ambulat, quanto fortius currit, tanto magis a termino elongatur, Commento al Vangelo di Giovanni XIV,2 - IX settimana del tempo ordinario, sabato, ufficio delle letture).

30 maggio 2009 - Pentecoste, messa vigiliare

Gioele 3,1-5. Il brano di Gioele apre la seconda parte del libro, centrata sull'annunzio del grande "giorno del Signore" (cc. 3-4), caratterizzato in primo luogo da una effusione dello Spirito di Dio su tutto Israele, la cui estensione è illustrata mediante il ricorso a tre coppie di termini. Lo Spirito sarà effuso senza distinzione di sesso (figli e figlie), età (anziani e giovani) e condizione sociale (schiavi e schiave). Tutti saranno profeti, in grado di decifrare correttamente l'azione di Dio nella storia. Ciò è indispensabile, proprio perché il giorno del Signore imminente distruggerà il vecchio ordine per stabilirne uno nuovo. L'evento carismatico è accompagnato da segni cosmici, espressione di uno sconvolgimento che riguarda la totalità della vita dell'uomo (cielo e terra). I grandi corpi celesti, che rappresentano per eccellenza la stabilità del quadro entro il quale la vita umana si svolge, saranno sconvolti. Il mondo propriamente umano, la terra, ve

Frankenstein, Prometeo moderno

Frankenstein, o il Prometeo moderno: il romanzo scritto dall'inglese Mary Shelley nel 1818 continua a mostrarsi fecondo. Ne ha tratto ispirazione Stefano Massini, che ha scritto e diretto l'omonimo allestimento andato in scena al teatro Fabbricone in prima assoluta dal 5 al 17 maggio 2009. Il compito di un adattamento teatrale si presentava assai complicato ed è stato ben svolto, prima di tutto grazie all'abbondante uso di proiezioni che hanno creato atmosfere suggestive e conferito centralità alla creatura del dottor Victor von Frankenstein, e al suo volto. La lettura di Massini si propone di privilegiare proprio tale punto di vista, consentendo una originale presa di visione della problematica vicenda dello scienziato illuminista proteso verso l'impossibile meta della vittoria sulla morte. "Riprovàte!", ripete ossessivamente il giovane Victor ai medici che gli annunziano l'inutilità di ulteriori sforzi nella cura della madre oramai morente: un grido che

Terra e cielo

Un pensiero di S. Agostino, dall'ufficio delle letture della festa dell'Ascensione (Sermo 263/A, De Ascensione Domini, 1): Cur non etiam nos ita laboramus in terris, ut per fidem, spem, caritatem, qua illi conectimur, iam cum illo requiescamus in caelis? Ille, cum ibi est, etiam nobiscum est; et nos, cum hic sumus, etiam cum illo sumus. Illud ipse et divinitate et potestate et dilectione; hoc autem nos, etsi divinitate non possumus sicut ipse, dilectione tamen possumus, sed in ipsum. Perché anche noi, qui in terra, non ci adoperiamo a far sì che, per mezzo della fede, della speranza e della carità che ci uniscono a lui, già riposiamo con lui nei cieli? Cristo, pur essendo nei cieli, è anche con noi; e noi, pur stando qui in terra, siamo anche con lui. Egli lo può fare per la divinità, la potenza e l'amore; noi, anche se non possiamo farlo per la divinità come lui, tuttavia lo possiamo con l'amore, però in lui. Esiste un legame tra noi sulla terra e Cristo in cielo, per

Servi o cavalieri

Wer dient, sagt: "Ich bin nicht für mein Behagen da, sondern für einen Menschen oder für eine Sache oder für eine Aufgabe". Und nun scheiden sich die Wege: Knechtsdienst oder Ritterdienst. Der Knecht dient, weil er Lohn will oder weil er gezwungen wird. Der Ritterliche dient, weil es einer großen Sache gilt, unabhängig von Vorteil und Zweck. Daß die Sache siege, das ist sein Wille. Er dient nicht gezwungen, sondern aus freier Hingabe. Chi serve dice: "Non sono qui per il mio piacere, ma per una persona, per una cosa, per un compito". E ora le strade si dividono: servizio da servo o da cavaliere. Il servo serve per essere ricompensato o perché costretto. Il cavaliere perché c'è in gioco una grande causa, indipendentemente da vantaggio e interesse. Che la causa vinca, questo è il suo volere. Non serve costretto, ma per libera dedizione. (Romano Guardini, Briefe über Selbstbildung - Lettere sull'autoformazione)

17 maggio 2009 - VI domenica di pasqua

Atti 10,25-27.34-35.44-48. La lettura racconta un crocevia importante nel cammino del Vangelo: il momento in cui i pagani entrano nella Chiesa. L'incontro tra Pietro e Cornelio è preceduto da una laboriosa preparazione, della quale Dio si incarica sia presso Cornelio (10,1-8) che presso Pietro (10,9-23), rappresentanti dei due poli dai quali dovrà scoccare la nuova scintilla: i discepoli, portatori del Vangelo, e i pagani, di fronte ad esso ben disposti. Qui c'è già un messaggio: l'abbattimento della barriera che Dio ha costruito, la separazione d'Israele rispetto agli altri popoli, non può venire da altri che da Dio stesso. Non si tratta della personale iniziativa di nessuno, Pietro, Paolo o altri. Non è infatti un'abolizione ma un superamento; non implica la semplice distruzione dell'ordinamento precedente ma il suo compimento. Dio ha operato una scelta, una elezione: ha scelto Israele. Il fatto che "la salvezza venga dai giudei" (Gv 4,22) rimane per

Il mondo futuro

Πρὸς οὖν τὸν ἐξ ἀναστάσεως βίον καταρτίζων ἡμᾶς ὁ Κύριος, τὴν εὐαγγελικὴν πᾶσαν ἐκτίθεται πολιτείαν, τὸ ἀόργητον, τὸ ἀνεξίκακον, τὸ φιληδονίας ἀῥῥύπωτον, τὸ ἀφιλάργυρον τοῦ τρόπου νομοθετῶν· ὥστε ἅπερ ὁ αἰὼν ἐκεῖνος κατὰ τὴν φύσιν κέκτηται, ταῦτα προλαβόντας ἡμᾶς ἐκ προαιρέσεως κατορθοῦν. Εἰ τοίνυν τις ὁριζόμενος εἴποι τὸ Εύαγγέλιον εἶναι τοῦ ἐξ ἀναστάσεως βίου προδιατύπωσιν, οὐκ ἄν μοι δοκῇ τοῦ προσήκοντος ἁμαρτεῖν. Rendendoci atti a quella vita che nasce dalla risurrezione, il Signore ci propone tutto uno stile di vita evangelico, prescrivendo che non ci adiriamo, che siamo pazienti nelle avversità e puri dall'attaccamento ai piaceri e al denaro. In tal modo ciò che quel mondo possiede per natura, lo realizziamo in anticipo già qui con la nostra scelta. Se si volesse dare una sintesi, non mi sembrerebbe sbagliato dire: il Vangelo è prefigurazione della vita che scaturisce dalla risurrezione. (S. Basilio, Lo Spirito Santo 15,35) Singolare che l'ultima frase ("Se si voless

10 maggio 2009 - V domenica di pasqua

Atti 9,26-31. La lettura racconta i primi passi del cammino di Paolo dopo il battesimo, e l'ambiente nel quale egli li muove, la chiesa. La comunità cristiana è infatti sin dal primo momento del suo ingresso a Damasco la culla nella quale cresce il nuovo nato alla fede.  La prima chiesa viene presentata come una comunità che vive un forte senso della presenza di Dio: timore di Dio e consolazione dello Spirito (v. 31, CEI: "conforto") dicono la percezione viva della presenza e dell'azione di Dio nella vita e nella crescita ecclesiale (cf. 2,43). Ma questo non si traduce affatto in un fanatismo esaltato: si tratta di una comunità che non cerca lo scontro, che non va in cerca del martirio, che persegue la pace. Tanto poco fatta di esaltati che inizialmente non ci si fida, si teme un inganno, tanto terribile era l'immagine di Saulo presso i discepoli. Paolo sperimenta in questa fase una doppia difficoltà: con i vecchi fratelli, che già subito a Damasco avevano tentato

3 maggio 2009 - IV domenica di pasqua

Atti 4,8-12. "Salvezza" è un concetto aperto, concerne cioè molteplici livelli di significato. Per chi ha sete, salvezza è trovare acqua; per chi ha freddo una coperta; per chi è solo un amico; per chi è minacciato riuscire incolume; per chi ha un dubbio trovare un consiglio illuminante; per chi è in battaglia vincere; per chi è ammalato guarire; nell'errore è giungere alla verità; nell'odio approdare alla pace; nel peccato trovare perdono. C'è "salvezza" ogni volta che la vita sfugge alla morte e trionfa di essa. "Vita" e "morte" sono del resto anch'essi concetti aperti, spaziando dal livello più elementare e materiale a quello più alto e spirituale, dalla semplice buona salute alla vita buona, piena ed eterna. Ogni uomo ha a che fare con una vita ben rappresentata dal mendicante storpio, della cui guarigione si chiede conto a Pietro e Giovanni: una situazione di debolezza, di infermità (v. 9). Possediamo una vita malferma, minac

26 aprile 2009 - III domenica di pasqua

Atti 3,13-15.17-19. La lettura è parte del discorso (3,11-26) che Pietro tiene al popolo per spiegare il miracolo della guarigione dello storpio alla porta Bella del tempio (3,1-10). L'apostolo vuole rispondere alla implicita domanda (si fa esplicita solo in 4,7): "in virtù di quale potere lo storpio è stato risanato?". La risposta si trova al v. 16, omesso nella pericope liturgica: per la fede in Gesù. Perché questo Gesù è nella gloria di Dio, lo stesso Dio che gli israeliti adorano. Naturalmente a questo punto si deve rilevare una contraddizione stridente: voi adorate un Dio che ha in onore quel Gesù che avete invece rifiutato e ucciso. A lui, guida verso la vita nuova, di cui vi è prova vivente lo storpio risanato, avete preferito un assassino, un portatore di morte. Ma Dio si è servito della vostra ignoranza per realizzare il suo progetto. Voi infatti non vi siete resi conto di quanto avete fatto. Adesso però che tutto questo è chiaro, la contraddizione va risolta e l

19 aprile 2009, II domenica di pasqua

Atti 4,32-35. Al centro letterario e teologico del quadro disegnato da Luca c'è la risurrezione del Signore. Essa è il motore di tutto il movimento prodotto nella comunità, attraverso due "cinghie di trasmissione": la testimonianza degli apostoli, resa con grande potenza, con parole e segni (cf. 2,43; 5,12); e la fede dei credenti, che di quella testimonianza è l'accoglienza. Tutto ciò infonde nella vita comunitaria un potente dinamismo di comunione, per il quale i credenti formano uno solo cuore e una sola anima. Si tratta evidentemente di una unità che ha molteplici espressioni. Il nostro passo ne evidenzia però una: la comunione nei beni materiali. In un quadro probabilmente un po' idealizzato, al bisogno di ciascuno corrisponde la capacità economica di ciascuno, per cui si verifica un fatto davvero clamoroso: la scomparsa dell'indigenza. Elemento che media tra bisogno e abbondanza sono gli apostoli, per la precisione i loro piedi, dove chi ha qualcosa lo d

Amore & morte

L'amore può morire, anzi deve. Perché ha da servirsi della morte per trionfare di essa.

5 aprile 2009, domenica delle Palme

Come riflessione sulla Domenica delle Palme propongo questa parafrasi/sintesi della seconda lettura nell'ufficio delle letture, dal Discorso 9 (sulle Palme) di S. Andrea, vescovo a Creta dal 700 al 740 ca.: Venite, andiamo incontro a Cristo, che si avvia liberamente verso la sua passione. Imitiamo coloro che gli andarono incontro, e facciamo di noi stessi, delle nostre vite, un mantello da stendere sulla sua strada. Questo non significa affatto essere calpestati e umiliati. Egli è mansueto, mite, umile: di fronte a questa sua umiltà noi ci inchiniamo. Riceviamo così in noi stessi colui che nessun luogo può contenere. Proprio nella comunione alla sua umiltà siamo sollevati fino al cielo. Sottomettiamo a lui non qualche cosa ma noi stessi, l'intimo. Ogni parte del nostro essere diventi come un ramo di palma che, insieme ai bambini della città santa, agitiamo festosi gridando: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

L'Anticristo

L'Anticristo mira a gestire ogni uomo sotto ogni aspetto, a creare una situazione in cui - dietro lo schermo del progresso - non si abbia più il controllo di niente, nemmeno delle cose più elementari, e si dipenda sempre più integralmente da una organizzazione impersonale. A tal fine impiega - e piega - il potere politico, economico, ideologico. E' dotato di straordinarie capacità tecnologiche e scientifiche. Promette salvezza subito: attendere è indegno dell'uomo. Persegue i propri obiettivi prospettando all'umanità la soluzione dei suoi problemi: è un filantropo. Ma filantropo di massa: non guarda al singolo, non ha riguardo per la persona, gli interessa solo la massa. Perciò non ha nemmeno rispetto per la vita.  Cerca la pace, se necessario imponendola. E' di larghe vedute, e quindi esige che si abbandoni ogni rigidità dogmatica. Perciò non tollera chi rifiuta di sistemare il proprio dio in una delle nicchie del Pantheon comune. Cerca di sovvertire ogni tradizion

Esistenza

Esistiamo per quel tanto che basta a rendersi conto di non esistere quasi.

Passioni /2

Prima di continuare: teniamo presente che stiamo parlando di "passione" in senso negativo, come "vizio" o, biblicamente, come "idolatria". La passione si costruisce e si alimenta attraverso il pensiero passionale (loghismos, cogitatio), che possiamo definire come "rappresentazione (fantasia) di cose o persone ricercate come strumento di autosufficienza". Se infatti gli oggetti delle passioni sono vari, ciò che c'è sotto è una cosa sola: la volontà di trovare la vita in se stessi, l'ebbrezza del riuscire da soli, ossia la superbia. Ora, tale ebbrezza è possibile solo quando siamo sufficientemente gratificati, ossia quando godiamo senza soffrire. Un oggetto diventa quindi passionale quando serve a procurarsi un piacere e a fuggire un dolore. Possiamo anche dire: a perseguire la riuscita e evitare il fallimento.  Nel pensiero passionale si distingue l'assalto, il semplice presentarsi della fantasia, che non dipende da noi e non è in sé c

Passioni /1

"Passione" è qualcosa rispetto a cui sono passivo, che subisco; ciò che esercita su di me un influsso a cui non riesco a sottrarmi. Ora, il fatto di avere questa caratteristica è già di per sé il marchio di fabbrica del male. Perché ciò che è buono fa sempre appello alla mia libertà e mobilita le mie risorse. Ciò che è male cerca invece semplicemente di trascinarmi. Dio non saprebbe che farsene di trascinarmi, al demonio invece va benissimo. La passione dunque è sempre distruttiva. Essa si determina in base al suo oggetto (che in sé non è un male), e può manifestarsi negli eccessi opposti, che alla fine però sono comunque frutto di un rapporto scorretto con il suo oggetto, e dunque della stessa passione, p. es. avarizia e prodigalità. Quali sono gli oggetti delle passioni? 1. l'ego (superbia) 2. i beni materiali (avarizia) 3. il piacere sessuale (lussuria) 4. i beni altrui (invidia) 5. il cibo (gola) 6. la giustizia (ira) 7. la tranquillità (accidia). Devo pertanto discer

Discernimento degli spiriti

Ecco alcune parti della seconda lettura dell'ufficio delle letture di oggi, mercoledi della IV settimana del tempo ordinario. Se andiamo a leggerla sul breviario, ci troveremo qualcosa in più e qualcosa in meno, fatto dovuto ai tagli che la liturgia è solita ahimè fare. Inoltre si vedranno in alcuni punti sensibili differenze nella traduzione. Mi duole dirlo ma, ahimè bis, non è buona la traduzione che leggiamo sul breviario (almeno in questo caso). Dai «Capitoli sulla perfezione spirituale» di Diadoco di Fotice 26. I lottatori devono cercare di conservare l'animo (dianoia) libero da interno turbamento, perché la mente (vous), discernendo i pensieri che le si affacciano, possa conservare nel santuario della memoria (mneme) quelli che sono buoni e mandati da Dio, e scacciare invece quelli che sono cattivi e suggeriti dal demonio. Anche il mare quando è perfettamente calmo permette ai pescatori una visibilità che arriva fino al fondo, di modo che i pesci non sfuggono al loro sgua

Così è (se vi pare)

Probabilmente anche quegli studenti delle superiori che hanno assistito allo spettacolo per “arruffianarsi con la professoressa” non si saranno poi così annoiati: la messa in scena di “Così è (se vi pare)” (Fabbricone, 21-25 gennaio 2009, regista Massimo Castri) – Pirandello non è autore lieve – è stata piacevole e molto scorrevole, il che è già un buon risultato. Il testo è troppo noto perché se ne debba qui richiamare la trama. La rappresentazione accenna a una struttura concentrica. Nell’anello esterno troviamo una festa di carnevale, cornice all’intera vicenda. Si tratta della vita “normale”, nella cui apparente solidità già la scenografia segnala alcune crepe. Nove porte e due specchi (deformanti) lasciano presagire un labirinto di cammini che si incrociano e di immagini differentemente riflesse che mai arriveranno a ricomporsi. Felicemente allusiva, la metafora del carnevale, nel presentare il tema, tipicamente pirandelliano, della maschera. Un terzetto costituito da marito, mog

I vizi capitali

Qualche giorno fa cercavo in rete un rapidissimo compendio sui vizi capitali. Insoddisfatto dei risultati, me lo sono fatto da me, eccolo: 1. Superbia. In senso ampio non è un vizio ma la radice di ogni vizio, in quanto è volontà di rendersi autonomi da Dio, cercando la vita senza (o contro) di lui. In senso stretto è il desiderio sregolato di affermare la propria eccellenza e la superiorità del proprio ego. Ciò porta anche al desiderio esagerato di apprezzamento, lode, etc., cosa che nella tradizione orientale è un vizio a sé: la vanagloria. 2. Avarizia. Far consistere la propria vita nei beni materiali e, in generale, avere con essi un rapporto sbagliato (nota: anche la prodigalità rientra in questo vizio). 3. Lussuria (o fornicazione). Desiderio e ricerca del piacere sessuale fine a se stesso. Il suo imperativo è "tu devi possedere l'altro". 4. Invidia. Cattivo rapporto con i beni altrui (di ogni tipo), in forza del quale essi diventano motivo di ostilità nei confronti

Le donne dell'Odissea

"Quando si diventa vecchi si commentano i grandi libri. Gli stessi che da giovani abbiamo provato a sviscerare. Non essendoci riusciti, ci abbiamo riprovato. Li abbiamo lasciati stare. Li abbiamo dimenticati. E ora sono qui di nuovo. Ce li siamo meritati con anni e anni di oblio. Ne contempliamo la magnificenza. Parliamo con loro. Adesso, pensiamo, dovremmo poter ricominciare a vivere per comprendere uno solo di questi libri" (E. Canetti, Die Fliegenpein Aufzeichnungen, 1992 [La tortura delle mosche]). E dunque riprendiamo in mano l'Odissea. Le sue donne. 1. Le Sirene Le Sirene non sono donne, ma mezze donne: metà donne e metà uccello (o serpente, o pesce). Per tal motivo non le si può legare alla seduzione femminile, alla lusinga sensuale; ma piuttosto alla fascinazione del sapere, della conoscenza, dell'andare verso l'ignoto, del fare esperienza di tutto. Il loro canto ammaliatore: Qui, presto, vieni, o glorioso Odisseo, grande vanto degli Achei, ferma la nave,

Ascolto

Possiamo rettamente dire: "ascoltaci, Signore", solo se diciamo anche - e prima ancora -: "ti ascoltiamo, Signore".

Beethoven, An die Freude - Inno alla gioia

Beethoven ha usato il testo di un'ode di Schiller, con non piccoli adattamenti. Intanto ha composto un testo introduttivo, che veramente non è un granché, che recita: O Freunde, nicht diese Töne! Sondern laßt uns angenehmere anstimmen, und freudenvollere! Freude! Amici, non questi suoni! Intoniamone piuttosto altri, più gradevoli e gioiosi! Gioia! L'esortazione a "cambiare musica" si riferisce alla musica che precede immediatamente, da qualcuno - piuttosto propenso a drammatizzare - chiamata "fanfara dell'orrore" e al recitativo (strumentale), i quali creano una tensione che domanda di essere risolta. Come nelle opere, negli oratori, etc… la tensione creata dal recitativo viene risolta nell'aria seguente, qui viene risolta nel dispiegarsi delle strofe dell'inno alla gioia. Ed ecco la prima strofa: Freude, schöner Götterfunken, Tochter aus Elysium, Wir betreten feuertrunken, Himmlische, dein Heiligtum! Deine Zauber binden wieder, Was die Mode stre

Perché ti agiti?

Circola in rete un bel testo di d. Dolindo Ruotolo, "atto di abbandono". Credo che sia un messaggio molto importante oggi; non avendo il testo originale e volendo trasporlo in linguaggio più attuale, invece di riprodurlo ho voluto parafrasarlo liberamente: Perché ti agiti? Lascia a me la cura delle tue cose e troverai pace. Sappi che un atto di vero abbandono scioglie ogni nodo.  Chiudi placidamente gli occhi dell'anima, distogli il pensiero dal tuo problema e lasciati portare da me. Chiudi gli occhi e riposa nella fiducia, ci penso io: le situazioni più chiuse si apriranno. Chiudi gli occhi e lasciami fare. Làsciati andare, rilàssati e rimani con me. Credi alla mia bontà e trova riposo in questo. Se davvero ti affidi a me, smetti di arrovellarti e disperarti.  Smetti di agitarti, dammi fiducia!  Smetti di rimuginare, ragionare e sragionare: ti fai solo del male. Smetti di voler risolvere a ogni costo con le tue risorse ciò che ti affligge.  Smetti di pesare e soppesare t

Una riflessione per i "single"

Recita il Talmud: "Nessun uomo può dormire solo in casa; chiunque dorme solo in casa sarà preso dai demoni". In effetti, credo che sia una condizione innaturale. Perciò chi è in tale situazione deve predisporsi a entrare nella notte con la preghiera. Il che, del resto, vale per tutti.

Al presepe!

Nondum idonei sumus convivio Patris nostri, agnoscamus praesepe Domini nostri Iesu Christi ("non siamo ancora idonei al banchetto del Padre nostro: riconosciamo il presepe del Signore nostro Gesù Cristo"). Così Agostino termina uno dei suo sermoni natalizi (194,4.4, ufficio delle letture della feria del 5 gennaio). C'è un'allusione a Isaia 1,3: Cognovit bos possessorem suum, et asinus praesepe domini sui; Israel autem me non cognovit, et populus meus non intellexit ("il bue conosce il suo padrone e l'asino la mangiatoia del suo signore, ma Israele non mi ha conosciuto, il mio popolo non ha capito"). Siamo a buon punto se siamo al livello del bue e dell'asino, ossia comprendiamo dove sta il cibo: nella mangiatoia di Betlemme. E' questa la via per arrivare al banchetto della definitiva sazietà, che al momento è fuori portata. Puntare direttamente a quel banchetto è ignorante arroganza umana e impossibile scalata al cielo. Contro ogni gnosi, ogni vo

11 gennaio 2009, Battesimo del Signore

Isaia 55,1-11. La profezia del Secondo Isaia volge oramai verso la sua conclusione, e il profeta, come un venditore ambulante, invita tutti quanti ad approfittare della sua offerta, incredibilmente vantaggiosa. Chi accoglie la parola profetica accoglie già da subito, fidandosi della promessa in essa proclamata, la speranza certa della liberazione dall'esilio.  Chi saprà ascoltare, potrà finalmente rispondere alla domanda angosciata di Israele in esilio: l'alleanza è oramai finita? Dio si sente ancora il Dio di Israele? La disfatta della dinastia davidica significa che Dio non ritiene più di dover restare fedele alle sue promesse? La risposta del profeta è chiara, e anche inedita: Dio stabilisce una nuova alleanza, nella quale gli atti di amore gratuito dei quali Davide è stato oggetto saranno per tutto il popolo, e i favori assicurati a uno estesi a tutti. L'esilio dunque, invece di essere una battuta d'arresto o addirittura la fine del progetto di Dio, rappresenta un s

Pronti... attenti... via!

Parte questa nuova tappa, prosecuzione del cammino iniziato cinque anni fa con " Lo Zabaione "; cammino a zig-zag, certo, però non privo di una sua meta. Quale? Ma lo sapremo alla fine!