25 dicembre 2009 - Natale del Signore

Nella prospettiva umana, luce e vita sono distinte: la luce è quello che mi serve per arrivare alla vita. La conoscenza mi dà il segreto della vita. E, inversamente, la vita che bramo è cieca, senza luce. Invece:
Gv 1,4 ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν, καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων - in lui era vita, e la vita era la luce degli uomini.
La luce è la vita che si trova nel Logos incarnato. La luce non è ciò che permette di arrivare alla vita, ma è la stessa vita; e la vita non è quello che a me pare "vita", e non costituisce nessun obiettivo che posso darmi per conto mio al di fuori della luce, ma "vita" è quello che si trova in Cristo, che perciò può dire: "io sono la luce, io sono la vita". Esse dunque si fanno accessibili nel rapporto personale con lui.
Che cosa, per me o per te, in questo momento o in un altro, rappresenti "la vita" è in fondo secondario, nel senso che, semplicemente, non è quello. "Quello" è ombra, immagine, apparenza, segno della vera vita.
Non si deve tuttavia dimenticare che la vita è pur sempre qualcosa "per gli uomini". Se anche inseguo una vita che è solo immagine di quella vera, è però proprio e soltanto a partire da quella immagine che io entro in rapporto con l'"originale". Un rapporto che è duplice. Da un lato nell'immagine c'è qualcosa dell'originale (altrimenti nel Logos non troverei niente di veramente interessante per me); dall'altro la vita eterna si gioca proprio qui: come mi rapporto con quello che a me pare "la mia vita"? ovvero: accetto di perderla o no?

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