Circo Kafka

La grande letteratura non smette di fornire spunti per letture e riletture. Così è per Il Processo di Kafka, tra i testi più significativi del Novecento, che Circo Kafka intende portare in scena con modalità certo originali, ossia in assenza quasi totale di parola, mediante il ricorso al semplice gesto e al suono. Lo spettacolo, estremamente sobrio, ripercorre la sostanza della vicenda del romanzo con risultato sorprendentemente intenso. La potenza della suggestione sarebbe stata probabilmente ancora maggiore eliminando anche l'unica tirata verbale, centrata sulla questione della «catena», l'ingranaggio che stritola inesorabilmente il povero protagonista. La scelta di privare l'attore (unico, interpreta tutti i ruoli) della parola, se da un lato è ovviamente una sfida per l'attore stesso (che Roberto Abbiati vince in scioltezza), dall'altro è una sfida per il pubblico, che viene stanato e costretto a uscire dal comfort verbale per avventurarsi a mobilitare le proprie risorse simboliche nell'interpretare, decifrare e ricostruire il senso dei vari gesti e suoni. In fondo la parola può essere una trappola, dando l'illusione di una comprensione che in realtà rimane in superficie. Tema quanto mai attuale oggi, quando la parola è sovrabbondante, addirittura straripante, al punto da determinare alla fine la mancanza di comunicazione, non solo con l'altro ma anche con sé. L'uomo di oggi rischia di rimanere del tutto privo della capacità simbolica, ossia della possibilità di leggere la realtà come un segno, una parabola (e si noti che la nostra «parola» ha il suo etimo proprio nella «parabola»), per farne un semplice dato di fatto, un guscio vuoto di significato.
La scelta di rinunciare alla parola evidenzia inoltre, felicemente, il disperato isolamento del protagonista, che non riesce a comunicare: né a ricevere adeguata notizia del reato a lui contestato né a farsi ascoltare e difendersi. Intendiamoci: la vicenda va ben al di là della questione, pur importante, dell'amministrazione della giustizia (il manichino in scena ricorda il nostro caso Cucchi): Josef è ogni uomo, ciascuno di noi, chiuso in un ingranaggio del quale non riesce a trovare il senso e che alla fine lascia davvero senza parole. Non è un caso che proprio nel silenzio lo spettacolo riesca a farci entrare in empatia col suo (e nostro) dramma. È il dramma già del Novecento, che il nostro Duemila non trova di meglio che seppellire sotto un pirotecnico flusso di parole senza peso – ed è davvero un circo – con l'unico risultato (e scopo) di impedire il confronto con noi stessi e di mascherare il nulla che sta dietro e dentro.
Ben venga dunque questo teatro di gesto e di suono a farci fermare; a restituire al silenzio il posto d'onore che gli spetta; a far recuperare capacità simbolica ed empatia; a metterci nuovamente a confronto con la questione della parola-significato-ragione che da sempre lo stesso eterno Logos continua instancabilmente a porre e riproporre nel cuore dell'uomo. Se lo vogliamo ascoltare.
Circo Kafka, con Roberto Abbiati e la partecipazione di Johannes Schlosser; regia Claudio Morganti. Prato, teatro Magnolfi, 11-23.2.2020.

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