30 maggio 2009 - Pentecoste, messa vigiliare

Gioele 3,1-5.
Il brano di Gioele apre la seconda parte del libro, centrata sull'annunzio del grande "giorno del Signore" (cc. 3-4), caratterizzato in primo luogo da una effusione dello Spirito di Dio su tutto Israele, la cui estensione è illustrata mediante il ricorso a tre coppie di termini. Lo Spirito sarà effuso senza distinzione di sesso (figli e figlie), età (anziani e giovani) e condizione sociale (schiavi e schiave). Tutti saranno profeti, in grado di decifrare correttamente l'azione di Dio nella storia. Ciò è indispensabile, proprio perché il giorno del Signore imminente distruggerà il vecchio ordine per stabilirne uno nuovo. L'evento carismatico è accompagnato da segni cosmici, espressione di uno sconvolgimento che riguarda la totalità della vita dell'uomo (cielo e terra). I grandi corpi celesti, che rappresentano per eccellenza la stabilità del quadro entro il quale la vita umana si svolge, saranno sconvolti. Il mondo propriamente umano, la terra, vedrà i segni classici di una guerra: sangue, fuoco e fumo. Il giorno del Signore sarà infatti il momento nel quale Dio si farà vicino al mondo umano in modo grandioso e manifesto, con una presenza che diverrà salvezza per gli uni e distruzione per gli altri. La salvezza è per il resto che invocherà il Dio di Israele, cioè gli israeliti chiamati alla salvezza. 
Il testo è citato da Pietro nel discorso di Pentecoste (At 2,16-21), quando la profezia di Gioele si adempie. Alcuni piccoli aggiustamenti operati da Luca suggeriscono il modo in cui egli applica il testo profetico all'esperienza dei discepoli. 
Sottolinea che si tratta dei giorni "ultimi" (v. 17), mentre Gioele dice genericamente "dopo questo" (v. 1). Aggiungendo la specificazione "miei/mie" a "servi/serve" (v. 18), introduce una distinzione tra gli israeliti e i discepoli (i "miei servi"), per sottolineare l'universalità dell'effusione; ripete nuovamente che questi servi "profeteranno" (Gioele lo dice una sola volta), intendendo mettere in risalto quanto accade ai discepoli il mattino di Pentecoste. Smorza il tono apocalittico, sottolineando il fatto che il giorno del Signore avviene con segni sulla terra (v. 19; cf. At 2,22.43; 4,16 etc.) e sopprimendo la menzione del giorno "terribile" (v. 20). Conclude la citazione sull'efficacia dell'invocazione del nome del Signore (tema caro a Luca, cf. At 2,38; 3,6.16 etc.), eliminando l'accenno ai "superstiti" e a Sion: l'universalismo è ancora accentuato. 
La discesa dello Spirito di Dio è passaggio dal vecchio al nuovo mondo. Nella ferialità della vita ecclesiale si vive già il "giorno del Signore", il tempo della realtà definitiva, anticipato nel dono dello Spirito. Grazie ad esso, la comunità di coloro che invocano il nome di Gesù come Signore diviene, "senza distinzione fra Giudeo e Greco" (Rm 10,12-13, dove Paolo cita il testo di Gioele 3,5) popolo di profeti. Attraverso la chiesa Cristo continua la sua missione profetica. Definitivamente abolita ogni discriminazione, ogni battezzato riceve la capacità di intuire in modo vivo e profondo la verità che salva e di testimoniarla, con le azioni ma anche con le parole, come Dio chiama ciascuno (cf. Lumen Gentium 35). 

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