11 gennaio 2009, Battesimo del Signore

Isaia 55,1-11.
La profezia del Secondo Isaia volge oramai verso la sua conclusione, e il profeta, come un venditore ambulante, invita tutti quanti ad approfittare della sua offerta, incredibilmente vantaggiosa. Chi accoglie la parola profetica accoglie già da subito, fidandosi della promessa in essa proclamata, la speranza certa della liberazione dall'esilio. 
Chi saprà ascoltare, potrà finalmente rispondere alla domanda angosciata di Israele in esilio: l'alleanza è oramai finita? Dio si sente ancora il Dio di Israele? La disfatta della dinastia davidica significa che Dio non ritiene più di dover restare fedele alle sue promesse? La risposta del profeta è chiara, e anche inedita: Dio stabilisce una nuova alleanza, nella quale gli atti di amore gratuito dei quali Davide è stato oggetto saranno per tutto il popolo, e i favori assicurati a uno estesi a tutti. L'esilio dunque, invece di essere una battuta d'arresto o addirittura la fine del progetto di Dio, rappresenta un suo ulteriore progresso. 
Chi è sapiente sappia riconoscere che di fronte a Dio l'unico atteggiamento corretto è quello del povero che sa ricevere tutto gratis, sfuggendo alla multiforme e sempreverde illusione di un proprio "diritto" ai beni della salvezza.
All'uomo è richiesto di cercare Dio e invocarlo (v. 6); di abbandonare modi di fare e progetti (vie e pensieri) vecchi, nei quali non c'è pace (cf. 48,22) e ritornare al Signore grande nella misericordia (v. 7). Questo richiede che si prenda atto di una distanza immensa, paragonabile a quella tra cielo e terra, tra i modi di fare e di pensare di Dio e quelli dell'uomo.
La distanza sta precisamente in questo: che laddove l'uomo ritiene di essere oramai finito, lontano da Dio e abbandonato a se stesso, Dio gli annunzia – e gli domanda di credere – la propria vicinanza che salva (cf. 50,8). In tal modo si fa anche chiaro che cosa ci sia richiesto: attendere sempre di nuovo la salvezza da Dio, sempre ricominciare a sperarla e a chiederla; abbandonare ogni modo di pensare e di agire che a qualsiasi titolo renda impossibile la fiducia nella misericordia divina e l'accoglienza di ciò che essa, gratuitamente e per puro dono, mette a disposizione. Nel battesimo tutto ci è già stato donato, ma appunto perché tale dono possa dispiegarsi appieno nella nostra esistenza la chiamata battesimale ci chiede continuamente di «avere fame e sete», di «comprare senza denaro», e sempre di smettere di «spendere per ciò che non nutre» (cf. 55,1-2). Siamo nei pensieri terrestri ogni volta che non crediamo più possibile la liberazione; che diamo per definitivo il potere del male sulla (nostra) vita; che crediamo – e pretendiamo – di guadagnarci da noi la salvezza, di pagarla e doverla a noi stessi e ai nostri sforzi, invece che alla gratuità e al perdono di Dio. Siamo nelle vie terrestri ogni volta che agiamo di conseguenza. E qui si dispiega la vasta gamma dei comportamenti di morte, tutto quanto va contro l'esistenza battesimale.

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