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Visualizzazione dei post da 2017

C'è bisogno di luce!

«Lasciami almeno accesa una lampadina, per vedere dove metto i piedi!». Alla fine del suo tormentato percorso alla ricerca di luce, Pirandello deve costatare che tutto quanto possiamo chiedere è appunto - si tratta della battuta che chiude l'intera «commedia da fare» (tale rimasta fino alla fine) - almeno una lampadina per muovere qualche passo nell'immediato. Con felice intuizione la restituzione scenica di Luca De Fusco s'impegna a distinguere proprio mediante la luce (ivi comprendendo anche il ricorso alla proiezione video) i due piani che sostanziano la elaborata trama pirandelliana: il piano della «realtà» e quello della «finzione» teatrale, quello della persona e del personaggio. Le libertà che si prende la resa scenica non disturbano affatto, aiutando anzi la concentrazione sull'essenziale. Noi non conosciamo né noi stessi né gli altri: questo è il dramma. Non mi pare che la commedia sia una riflessione sul teatro, o quanto meno tale riflessione è soltanto second

Un mistero a due facce

Al cospetto della morte, si prende posizione di fronte alla vita. La commedia di Spiro Scimone, tutta giocata su due coppie che si muovono intorno a due tombe «a due piazze», è una delle infinite declinazioni del mai esaurito tentativo di decifrare l'unico mistero a due facce di vita e morte. Si può anche dire: al cospetto della morte, si prende posizione di fronte all'altro. Amore e morte, allora, un classico qui indagato - sia pure con levità - nella caratteristica emersione di una serie di elementi, latenti finché la vita si presenta come successione indefinita e talora sonnacchiosa di tempi; elementi che invece escono alla scoperto nella prossimità - cronologica e esistenziale - della morte. Allora le parolacce fino a quel momento solo pensate si proferiscono ad alta voce. Non solo: anche le parole d'amore, con quegli atteggiamenti che definiscono chi non può più permettersi il lusso di avere paura o vergogna di esprimere il proprio sentimento, semplicemente perché il t

Richard II: il dramma di governare

Nell'approccio a un testo, due sono i poli entro i quali si oscilla: l'oggettivo e il soggettivo. Si può privilegiare ciò che si ha di fronte, cercando di cogliere e accogliere il testo in se stesso, così come offerto; si può mettere maggiormente in luce colui che sta di fronte al testo, la sua risposta, il suo modo d'intenderlo. Per quanto i due atteggiamenti siano sempre inevitabilmente compresenti, l'esaltazione contemporanea del soggettivo conduce di solito a una preponderanza, a volte smisurata, del soggettivo. Nel caso del Richard II di Peter Stein siamo invece di fronte a una felice eccezione, a uno spettacolo dove al centro sta effettivamente Shakespeare e il suo dramma. Anche la scelta di far rappresentare re Riccardo da una donna, la brava Maddalena Crippa, non dà luogo a quelle - fin troppo oggi prevedibili e peraltro stucchevoli - questioni sull'ambiguità sessuale e analoghi: segnala piuttosto una presenza speciale, che lascia emergere in modo inconfondi

Una caricatura della fede cristiana

Da Laika (uno spettacolo di e con Ascanio Celestini; alla fisarmonica Gianluca Casadei, produzione Fabbrica srl, co-produzione RomaEuropa Festival 2015 e Teatro Stabile dell’Umbria. Prato, Teatro Metastasio, 6-9 aprile 2017) si esce frastornati e perplessi. Frastornati dal copioso profluvio verbale di questo teatro di narrazione; perplessi per la superficialità con la quale vi si affrontano le tematiche religiose e specificamente cristiane. C'imbattiamo in temi come preghiera e santi, processi di canonizzazione e miracoli, origine dell'universo, demonio, male e indifferenza di Dio, relativismo e dogmatismo. E altro. Già da questa sommaria elencazione appare come per affrontare in poco meno di due ore temi di questo calibro occorrerebbe una capacità - non solo artistica, ma filosofica e teologica - fuori del comune. Evidentemente, Celestini ritiene di avere le carte in regola. Data la vastità degli elementi toccati, non si proverà qui nemmeno a impostare un abbozzo di discussio

A cena con la morte per capire chi siamo

"Tutti i miei fantasmi sono anche loro vita". Si può prendere questa affermazione, più volte ricorrente nello spettacolo, come punto di partenza per tracciare un possibile percorso di avvicinamento a questo teatro di parola, detta e proiettata (sullo schermo). Virtuosisticamente la parola vi salta e rimbalza, sprigionando mille riflessi e suggestioni, che possono forse in estrema sintesi esser detti così: per essere me stesso, ho bisogno di tutto me stesso. Appare qui la superficialità dello slogan universalmente ripetuto come indiscutibile mantra dei nostri tempi stolti: devo essere me stesso! Certo, se fosse facile sapere che cosa effettivamente io sia. Edi, la ragazzina protagonista, è l'io che si muove in mezzo a istanze diverse, che diversamente e contraddittoriamente la sollecitano a uscire da una quiete fatta di non-odio che è anche non-amore, nella quale riconosciamo tanti giovani (e non). Tali istanze paiono rappresentate negli altri personaggi - il padre, la mad

MDLSX: forte l'impatto, debole l'ideologia

Già dal punto di vista formale MDLSX è spettacolo inconsueto: un Dj/Vj Set, ossia la performance di un dj che presenta una serie di video e audio. Qui però la dj è attrice (la brava Silvia Calderoni) e mette in gioco (decisamente) il proprio corpo. C'è qui una prima triade: audio, video, corpo. Lo spettacolo ne cela poi una seconda, fatta di tre livelli. Il primo livello, il fondamentale, è la vicenda narrata in Middlesex , romanzo di J. Eugenides del 2002, del quale è protagonista una ragazza dai caratteri sessuali misti, ermafrodita. Tale vicenda è l'ossatura del discorso, come lo stesso titolo suggerisce: MDLSX è eco di Middlesex . Il secondo livello è la modalità di rappresentazione della vicenda Middlesex , potremmo dire il personale modo di sentire/interpretarla, che passa necessariamente attraverso il filtro personale, in questo caso dell'attrice/dj (che in alcuni video compare ragazzina). Il terzo livello è quello ideologico, con la proclamazione di teorie proprie

La donna nella "Casa di Bambola"

"Quale bellezza! Ma non ha cervello". Con le celebri parole della volpe che trova una maschera teatrale abbandonata in campagna si potrebbe sintetizzare l'atteggiamento paternalista che la buona borghesia della Norvegia luterana di fine '800 assume nei confronti della donna. È il tema del celebre dramma di Ibsen, oramai un classico del teatro, reso con grande concentrazione e dedizione da Roberto Valerio che, oltre ad essere impegnato in scena, ne ha curato adattamento e regia. La "bambola" - potremmo dire la "pupa" - è Nora Helmer, alle prese col suo ruolo di figlia, sposa e madre. Già, perché la drammaticità degli eventi, che si consumano interamente in un ambiente quotidiano e borghese, l'ambito appunto della "casa", è il conflitto tra il ruolo e la persona, leggi sociali e spinte personali. Ibsen denuncia un approccio che, con parola abbastanza recente, diremmo "paternalistico": quell'atteggiamento benevolo e bonario

Il "Natale in casa Cupiello" di Latella

Per chi allestisce come per lo spettatore, questa commedia è difficile, per l'ovvio condizionamento costituito dalle celebri realizzazioni, teatrali e televisive, curate dal suo stesso autore. Latella è entrato gagliardamente nella mischia, sottoponendo il testo a un intenso lavorìo che ha dato esito a una rappresentazione originale, che probabilmente ha lasciato delusi, o almeno perplessi, quanti sono andati a teatro con il semplice intento di godersi una commedia alla quale sono affezionati. Se Eduardo scruta i suoi personaggi con sguardo bonario e indulgente, qui si ha una presa di distanza, l'azione appare quasi osservata e analizzata con una sorta di freddezza cerebrale. La messa in scena delimita con chiarezza le tre parti del dramma. Più propriamente "rappresentata", la parte centrale ne è anche il nucleo originario ed essenziale. La prima parte è proposta quasi come semplice lettura di un testo scritto per il teatro, comprese le didascalie, a sottolineare da