La donna nella "Casa di Bambola"

"Quale bellezza! Ma non ha cervello". Con le celebri parole della volpe che trova una maschera teatrale abbandonata in campagna si potrebbe sintetizzare l'atteggiamento paternalista che la buona borghesia della Norvegia luterana di fine '800 assume nei confronti della donna. È il tema del celebre dramma di Ibsen, oramai un classico del teatro, reso con grande concentrazione e dedizione da Roberto Valerio che, oltre ad essere impegnato in scena, ne ha curato adattamento e regia. La "bambola" - potremmo dire la "pupa" - è Nora Helmer, alle prese col suo ruolo di figlia, sposa e madre. Già, perché la drammaticità degli eventi, che si consumano interamente in un ambiente quotidiano e borghese, l'ambito appunto della "casa", è il conflitto tra il ruolo e la persona, leggi sociali e spinte personali. Ibsen denuncia un approccio che, con parola abbastanza recente, diremmo "paternalistico": quell'atteggiamento benevolo e bonario col quale si fanno a un altro, per qualche verso inferiore, delle concessioni, considerandolo peraltro perennemente incapace di autoregolarsi onde perseguire il proprio bene in modo autonomo. Non per caso c'è di mezzo il "padre", che ha sempre trattato la figlia come un burattino. Emblematico il "gioco" che i due erano soliti fare: la figlia si immedesima nel padre e ne assume il pensiero. Tale oscuramento della persona proseguirà col marito e i figli (ma quest'ultima dimensione è solo accennata). In un primo tempo Nora si mostra abbondantemente integrata nel sistema e disposta a goderne fino in fondo i benefici. A scombinare tutto arriva però il demone Krogstad (che peraltro alla fine troverà redenzione grazie all'amore) col suo tentativo di ricatto, volto a salvare il proprio posto di lavoro. Nora è travolta. Dopo aver sognato "la meraviglia" di un marito che rimane fedele ai suoi principi anche a costo di rimetterci tutto, deve costatarne la pochezza: la sua rigidità morale cela in realtà un sostanziale egoismo (grande tema!). La dolorosa presa di coscienza ha il suo esito nella richiesta di rispetto e nella consapevolezza di dover uscire dalla gabbia per crescere in un processo di autoeducazione. In verità non sappiamo se questo avverrà: il finale è ambiguo. In effetti Ibsen apre soltanto il discorso, in una pars destruens che abbatte in modo sacrosanto una serie di dogmi borghesi (contro i quali oramai non sembra necessario accanirsi più di tanto), spesso - a torto - identificati con la visione cristiana. Il problema è naturalmente la pars construens, ovvero quale strada la donna debba prendere per ottenere rispetto e considerazione in quanto persona umana. Che la parola giusta sia proprio "auto-educazione"? È passato quasi un secolo e mezzo dalla creazione di Ibsen e molta strada è stata percorsa, al punto che oggi parlare della donna come sposa e madre è divenuto problematico, se non addirittura proibitivo. Ma davvero le bambole sono sparite?
Casa di Bambola, di Henrik Ibsen. Adattamento e regia di Roberto Valerio. Produzione Associazione Teatrale Pistoiese, Centro di Produzione Teatrale. Prato, Teatro Metastasio, 16-19 febbraio 2017.

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