V domenica di quaresima, ufficio delle letture

Le Lettere pasquali, o festali (in latino epistulae heortasticae / festales / paschales), sono lettere che i vescovi di Alessandria - dal III secolo fino in età araba - inviarono annualmente alle loro chiese per comunicare alcune date liturgiche, prima di tutto quella della pasqua. E' un genere letterario tipico della chiesa egiziana, nel quale i patriarchi coglievano l'occasione per impartire insegnamenti dottrinali e morali, non di rado facendo riferimento alle vicende coeve. Atanasio, vescovo di Alessandria dal 328 al 373, le scrisse in greco, ma sono giunte a noi solo nella versione copta e siriaca. Il testo latino è la versione di A. Mai nella Nova Patrum Bibliotheca VI, Romae 1853, pp. 124-6 (riprodotta in PG 26,1419-1420).
Tema centrale di questa lettera, che è del 331, è il rapporto tra ombra e verità, anticipazione e realizzazione.

Dalle Lettere pasquali di sant'Atanasio, vescovo (Lettera 14,1-2)
1.1 [...] Si avvicina quel Verbo - il Signore nostro Gesù Cristo - che per noi si è fatto tutto, e che promette di restarci vicino ininterrottamente. Per questo dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
2. Come egli è pastore, sommo sacerdote, via e porta, a un tempo facendosi tutto per noi, così si è manifestato a noi come festa solenne, come dice il beato apostolo: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1Cor 5,7), lui l'atteso. Ma si ha anche esaudito la preghiera del salmista: «O mia esultanza, liberami da coloro che mi circondano» (Sal 32,7). 3. Questa è vera esultanza, questa la vera solennità: la liberazione dai mali. Per conseguirla, ognuno si comporti rettamente e dentro di sé mediti nella pace del timore di Dio. 4. Così anche i santi nel corso della vita si allietavano in ogni tempo, come in una festa. Uno di essi, il beato Davide, si alzava di notte, non una volta sola ma sette, e con la preghiera si rendeva propizio Dio. Un altro, il grande Mosè, esultava con inni, cantava lodi per la vittoria riportata sul faraone e su coloro che avevano oppresso gli Ebrei con fatiche. Altri infine con gioia incessante attendevano al sacro culto, come il grande Samuele e il beato Elia. Per questo loro stile di vita essi raggiunsero meritatamente la libertà e ora fanno festa in cielo. Si allietano del loro pellegrinaggio terreno nella semioscurità, capaci ormai di distinguere la figura dalla realtà.
2.5. E noi, celebrando ora questa solennità, quali strade battiamo? Avvicinandoci a questa festa, quale guida avremo? Nessun altro certamente, o miei cari, se non colui che voi stessi chiamate, come me, «nostro Signore Gesù Cristo». Egli dice: «Io sono la via» (Gv 14,6). 6. Egli è colui che, al dire di san Giovanni, «toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Egli purifica le nostre anime, come afferma il profeta Geremia: «Fermatevi nelle strade e guardate, e state attenti a quale sia la via buona, e in essa troverete la rigenerazione delle vostre anime» (Ger 6,16).
7. Un tempo era il sangue dei capri e la cenere di un vitello ad aspergere quanti erano impuri. Serviva però solo a purificare il corpo. Ora invece, per la grazia del Verbo di Dio, ognuno viene purificato con abbondanza. Se seguiremo ora Cristo potremo già qui, come negli atri della Gerusalemme celeste, pregustare quella festa eterna. 8. Così fecero gli apostoli, che seguivano come guida il Salvatore. Essi erano, e sono tuttora, maestri di una tale grazia: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19,27). Ovviamente, noi seguiamo il Signore: osserviamo la sua festa non solo con le parole, ma con le opere.

1. [Sollemnitatis nostrae laetitia, fratres mei, semper instat, neque unquam recedit ab illis qui festum agere avent.] Proximum nobis est Verbum illud, quod pro nobis omnia factum est, Dominus – inquam – noster Iesus Christus, qui apud nos indesinenter spondet se esse mansurum. Quamobrem clamat dicens: «ecce ego vobiscum sum omnibus diebus saeculi» (Mt 28,20). Quemadmodum autem ipse pastor est, summus sacerdos, via et ianua, simulque omnia pro nobis factus est, ita etiam festum atque sollemnitas nobis apparuit, ceu beatus ait apostolus: «pascha nostrum immolatus est Christus» (1Cor 5,7) qui expectabatur. Sed ad psalmistae quoque preces illuxit dicentis: «exultatio mea, erue me a circumdantibus me» (Ps 31,7). Haec est vera exultatio, haec est germana sollemnitas, malorum nempe depulsio; ad quam ut unusquisque perveniat, rectis omnino moribus sit, suaque mente meditetur in quiete timoris Dei. Sic etiam sancti dum viverent, omni aetate sua laetabantur, tamquam in festo. Quorum unus, nempe beatus David, noctu surgebat haud semel sed septies, et Deum precibus propitiabat. Alter, magnus videlicet Moyses, hymnis exultabat, laudesque canebat ob victoriam de Pharaone relatam, et de iis qui laboribus (Hebraeos) oppresserant. Postremo alii assidua cum hilaritate sacro cultu perfungebantur, veluti magnus Samuel, et beatus ille Elias; qui morum suorum merito libertatem sunt adepti, et nunc festum agunt in caelo, et de sua in umbra olim peregrinatione laetantur, et iam veritatem a figura discernunt.
2. Nos autem nunc sollemnitatem agentes, quas vias corripimus? Et festo huic propinquantes, quem ducem habebimus? Neminem profecto, dilecti mei, nisi quem vos ipsi mecum dicetis Dominum nostrum Iesum Christum, qui ait: «ego sum via» (Io 14,6). Ipse est, qui ut beatus inquit Iohannes, «tollit peccatum mundi» (Io 1,29); ipse animas nostras purificat, ceu dicit alicubi Hieremias propheta: «state super vias, et videte, et dispicite quaenam sit via bona, et in ea invenietis animarum vestrarum emendationem» (Ger 6,16). Olim vero hircorum sanguis, et cinis vituli super immundos aspersus, purificando tantum corpori aptus erat; nunc per Verbi Dei gratiam unusquisque abunde mundatur. Quod si mox sectabimur, licebit nobis hic tamquam in vestibulis caelestis Hierusalem festum illud aeternum praemeditari: sicut etiam beati apostoli, qui ducem suum Salvatorem sequebantur, et tunc erant, et adhuc in praesenti sunt, huiusmodi gratiae magistri; namque aiebant: «ecce nos reliquimus omnia, et secuti sumus te» (Mt 19,27). Videlicet nos sequimur Dominum; et festum Domini, non verbis tantum sed operibus adimplemus.

Notiamo che in 1.2-3 si presuppone la traduzione dei LXX di Sal 32,7: τὸ ἀγαλλίαμά μου λύτρωσαί με ἀπὸ τῶν κυκλωσάντων με, e cioè: "Mia esultanza (=Dio), liberami da quelli che mi circondano (=i nemici)"; analogamente la Vulgata: exultatio mea, erue me a circumdantibus me. Nell'attuale versione CEI il versetto suona: "Tu mi circondi di canti di liberazione", nella precedente: "mi circondi di esultanza per la salvezza".
Sintesi: la vita cristiana è una festa continua, perché ininterrotta è la presenza del Logos liberatore. Tra le altre cose, infatti, Cristo si è fatto per noi "festa" di liberazione dai mali. Se viviamo rettamente e meditiamo in quiete, pregustiamo già ora la festa eterna.

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