Prudenza, temperanza, esperienza

Aristotele, Etica Nicomachea, libro VI:
* La prudenza (φρόνησις) è la "capacità di deliberare bene su ciò che è buono e vantaggioso non da un punto di vista parziale, come per esempio per la salute, la forza o la ricchezza, ma su ciò che è buono e utile per una vita felice in senso globale. Una prova ne è che noi chiamiamo saggi coloro che lo sono in un campo particolare, quando calcolano esattamente i mezzi per ottenere un fine buono in cose che non sono oggetto di un’arte. (5)
* La temperanza (σωφροσύνη) "salva la prudenza. Ma è il giudizio pratico (ὑπόληψις) ciò che essa salvaguarda. In effetti non è che il piacere e il dolore distorcano ogni tipo di giudizio (per esempio quello che il triangolo ha o non ha la somma degli angoli interni uguale a due angoli retti), bensì soltanto i giudizi che riguardano l'azione. Infatti i fini delle azioni sono le azioni stesse: a chi è corrotto dal piacere o dal dolore non è più manifesto il principio, né che è in vista di questo o per causa sua che deve scegliere e fare tutto ciò che sceglie e fa: il vizio infatti distrugge il principio dell'azione morale". (ibidem)
* "I giovani sono geometri o matematici o sapienti in materie del genere, ma non si pensa che un giovane sia prudente. Il motivo è che la prudenza riguarda anche i particolari, i quali diventano noti in base all'esperienza, mentre il giovane non è esperto: infatti è la lunghezza del tempo che produce l'esperienza." (8)
La prudenza, dunque, richiede necessariamente temperanza ed esperienza.

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