23 settembre 2012 - XXV domenica del tempo ordinario


Giacomo 3,17-18
La sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
ἡ δὲ ἄνωθεν σοφία πρῶτον μὲν ἁγνή ἐστιν, ἔπειτα εἰρηνική, ἐπιεικής, εὐπειθής, μεστὴ ἐλέους καὶ καρπῶν ἀγαθῶν, ἀδιάκριτος, ἀνυπόκριτος: καρπὸς δὲ δικαιοσύνης ἐν εἰρήνῃ σπείρεται τοῖς ποιοῦσιν εἰρήνην.
Quæ autem desursum est sapientia, primum quidem pudica est, deinde pacifica, modesta, suadibilis, bonus consentiens, plena misericordia et fructibus bonis, non judicans, sine simulatione. Fructus autem iustitiae, in pace seminatur, facientibus pacem.

Occupandosi del dono di sapienza in rapporto alle beatitudini, Tommaso fa una esegesi di questo passo.

Summa Theologiae IIª-IIae q. 45 a. 6

Videtur quod septima beatitudo non respondeat dono sapientiae.
SEMBRA che al dono della sapienza non corrisponda la settima beatitudine.
...
3. Praeterea, Iac. III dicitur, quae desursum est sapientia primo quidem pudica est, deinde autem pacifica, modesta, suadibilis, bonis consentiens, plena misericordia et fructibus bonis, iudicans sine simulatione. Beatitudo ergo correspondens sapientiae non magis debuit accipi secundum pacem quam secundum alios effectus caelestis sapientiae.
3. S. Giacomo afferma: "La sapienza che viene dall'alto prima di tutto è pura, poi pacifica, modesta, arrendevole, condiscendente ai buoni, piena di misericordia e di buoni frutti, aliena dal criticare con ipocrisia". Quindi la beatitudine corrispondente alla sapienza non va determinata partendo dalla pace a preferenza degli altri effetti della sapienza celeste.
Respondeo dicendum quod septima beatitudo congrue adaptatur dono sapientiae et quantum ad meritum et quantum ad praemium. Ad meritum quidem pertinet quod dicitur, beati pacifici. Pacifici autem dicuntur quasi pacem facientes vel in seipsis vel etiam in aliis. Quorum utrumque contingit per hoc quod ea in quibus pax constituitur ad debitum ordinem rediguntur, nam pax est tranquillitas ordinis, ut Augustinus dicit, XIX de Civ. Dei. Ordinare autem pertinet ad sapientiam; ut patet per philosophum, in principio Metaphys. Et ideo esse pacificum convenienter attribuitur sapientiae. Ad praemium autem pertinet quod dicitur, filii Dei vocabuntur. Dicuntur autem aliqui filii Dei inquantum participant similitudinem filii unigeniti et naturalis, secundum illud Rom. VIII, quos praescivit conformes fieri imaginis filii sui, qui quidem est sapientia genita. Et ideo percipiendo donum sapientiae, ad Dei filiationem homo pertingit.
RISPONDO: La settima beatitudine corrisponde bene al dono della sapienza, sia rispetto al merito, sia rispetto al premio. Al merito infatti si riferiscono quelle parole: "Beati i pacifici". Ora, sono chiamati pacifici coloro che attuano la pace, o in se stessi, o negli altri. E queste due cose avvengono per il fatto che gli esseri in cui si attua la pace vengono ricondotti al debito ordine: infatti la pace è "la tranquillità dell'ordine", come insegna S. Agostino. D'altra parte ordinare, come nota il Filosofo, spetta alla sapienza. Dunque l'essere pacifici va attribuito giustamente alla sapienza.
Al premio poi si riferiscono le parole: "Saranno chiamati figli di Dio". Ora, certuni sono chiamati figli di Dio in quanto partecipano la somiglianza del Figlio unigenito e naturale di Dio, secondo le parole di S. Paolo: "Quelli che egli ha preconosciuti ad essere conformi all'immagine di suo Figlio", il quale appunto è la sapienza (increata e) generata. Dunque ricevendo il dono della sapienza, l'uomo raggiunge la filiazione divina.
...
Ad tertium dicendum quod, sicut iam dictum est, ad sapientiam, secundum quod est donum, pertinet non solum contemplari divina, sed etiam regulare humanos actus. In qua quidem directione primo occurrit remotio a malis quae contrariantur sapientiae, unde et timor dicitur esse initium sapientiae, inquantum facit recedere a malis. Ultimum autem est, sicut finis, quod omnia ad debitum ordinem redigantur, quod pertinet ad rationem pacis. Et ideo convenienter Iacobus dicit quod sapientia quae desursum est, quae est donum spiritus sancti, primum est pudica, quasi vitans corruptelas peccati; deinde autem pacifica, quod est finalis effectus sapientiae, propter quod ponitur beatitudo. Iam vero omnia quae sequuntur manifestant ea per quae sapientia ad pacem perducit, et ordine congruo. Nam homini per pudicitiam a corruptelis recedenti primo occurrit quod quantum ex se potest, modum in omnibus teneat, et quantum ad hoc dicitur, modesta. Secundo, ut in his in quibus ipse sibi non sufficit, aliorum monitis acquiescat, et quantum ad hoc subdit, suadibilis. Et haec duo pertinent ad hoc quod homo consequatur pacem in seipso. Sed ulterius, ad hoc quod homo sit pacificus etiam aliis, primo requiritur ut bonis eorum non repugnet, et hoc est quod dicit, bonis consentiens. Secundo, quod defectibus proximi et compatiatur in affectu et subveniat in effectu, et hoc est quod dicitur, plena misericordia et fructibus bonis. Tertio requiritur ut caritative emendare peccata satagat, et hoc est quod dicit, iudicans sine simulatione, ne scilicet, correctionem praetendens, odium intendat explere.
3. Come già abbiamo detto, al dono della sapienza non spetta soltanto contemplare le cose divine, ma anche guidare gli atti umani. E in tale guida la prima cosa richiesta è l'eliminazione del male che si oppone alla sapienza: ecco perché si dice che il timore è "l'inizio della sapienza", proprio perché fa allontanare dal male. Invece l'ultima cosa, richiesta come fine, è che tutto sia ricondotto al debito ordine: e questo costituisce la pace. Giustamente perciò S. Giacomo afferma, che "la sapienza che viene dall'alto", e che è un dono dello Spirito Santo, "prima di tutto è pura", nel senso che evita le sozzure del peccato; "di poi pacifica", per indicare l'effetto finale della sapienza, che giustifica la beatitudine.
Invece le espressioni seguenti stanno a indicare per ordine i mezzi con i quali la sapienza porta alla pace. Infatti il primo dovere di un uomo che lascia la colpa è di contenersi, per quanto può nei limiti prescritti (modum tenere): ed ecco perché si parla di "modestia". Il secondo è di accettare gli ammonimenti degli altri nelle cose in cui non può fare da solo: ecco spiegato l'aggettivo "arrendevole". E queste due cose si riferiscono al conseguimento della pace in se stessi. - Ma perché poi uno diventi pacifico con gli altri si richiede: primo, che non ostacoli il bene altrui; ecco il perché di quell'espressione: "condiscendente ai buoni". Secondo, che di fronte alle miserie del prossimo compatisca con l'affetto e soccorra con le opere: perciò si dice, "piena di misericordia e di buoni frutti". Terzo, si richiede che uno cerchi con carità di correggere i peccati; ecco perché si dice: "aliena dal criticare con ipocrisia", cioè perché non si cerchi di sfogare l'odio col pretesto della correzione.

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