17 giugno 2012 - XI domenica del tempo ordinario


2Corinzi 5,6-8
Comunque pieni di fiducia e consapevoli che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore.
Θαρροῦντες οὖν πάντοτε καὶ εἰδότες ὅτι ἐνδημοῦντες ἐν τῷ σώματι ἐκδημοῦμεν ἀπὸ τοῦ κυρίου, διὰ πίστεως γὰρ περιπατοῦμεν οὐ διὰ εἴδους θαρροῦμεν δὲ καὶ εὐδοκοῦμεν μᾶλλον ἐκδημῆσαι ἐκ τοῦ σώματος καὶ ἐνδημῆσαι πρὸς τὸν κύριον.
Audentes igitur semper, scientes quoniam dum sumus in corpore, peregrinamur a Domino (per fidem enim ambulamus, et non per speciem), audemus autem, et bonam voluntatem habemus magis peregrinari a corpore, et praesentes esse ad Dominum.

Da queste espressioni paoline S. Tommaso deduce che subito dopo la morte c'è la retribuzione per l'anima, la quale tuttavia mantiene una tendenza a riunirsi al corpo. Questo non rende inutile il giudizio universale (B.).

A. Summa Theologiae Iª-IIae q. 4 a. 5
Videtur quod ad beatitudinem requiratur corpus.
SEMBRA che per la beatitudine dell'uomo si richieda anche il corpo.
...
Respondeo dicendum quod duplex est beatitudo, una imperfecta, quae habetur in hac vita; et alia perfecta, quae in Dei visione consistit. Manifestum est autem quod ad beatitudinem huius vitae, de necessitate requiritur corpus. Est enim beatitudo huius vitae operatio intellectus, vel speculativi vel practici. Operatio autem intellectus in hac vita non potest esse sine phantasmate, quod non est nisi in organo corporeo, ut in primo habitum est. Et sic beatitudo quae in hac vita haberi potest, dependet quodammodo ex corpore. Sed circa beatitudinem perfectam, quae in Dei visione consistit, aliqui posuerunt quod non potest animae advenire sine corpore existenti; dicentes quod animae sanctorum a corporibus separatae, ad illam beatitudinem non perveniunt usque ad diem iudicii, quando corpora resument. Quod quidem apparet esse falsum et auctoritate, et ratione. Auctoritate quidem, quia apostolus dicit, II ad Cor. V, quandiu sumus in corpore, peregrinamur a domino; et quae sit ratio peregrinationis ostendit, subdens, per fidem enim ambulamus, et non per speciem. Ex quo apparet quod quandiu aliquis ambulat per fidem et non per speciem, carens visione divinae essentiae, nondum est Deo praesens. Animae autem sanctorum a corporibus separatae, sunt Deo praesentes, unde subditur, audemus autem, et bonam voluntatem habemus peregrinari a corpore, et praesentes esse ad dominum. Unde manifestum est quod animae sanctorum separatae a corporibus, ambulant per speciem, Dei essentiam videntes, in quo est vera beatitudo. Hoc etiam per rationem apparet. Nam intellectus ad suam operationem non indiget corpore nisi propter phantasmata, in quibus veritatem intelligibilem contuetur, ut in primo dictum est. Manifestum est autem quod divina essentia per phantasmata videri non potest, ut in primo ostensum est. Unde, cum in visione divinae essentiae perfecta hominis beatitudo consistat, non dependet beatitudo perfecta hominis a corpore. Unde sine corpore potest anima esse beata. Sed sciendum quod ad perfectionem alicuius rei dupliciter aliquid pertinet. Uno modo, ad constituendam essentiam rei, sicut anima requiritur ad perfectionem hominis. Alio modo requiritur ad perfectionem rei quod pertinet ad bene esse eius, sicut pulchritudo corporis, et velocitas ingenii pertinet ad perfectionem hominis. Quamvis ergo corpus primo modo ad perfectionem beatitudinis humanae non pertineat, pertinet tamen secundo modo. Cum enim operatio dependeat ex natura rei, quando anima perfectior erit in sua natura, tanto perfectius habebit suam propriam operationem, in qua felicitas consistit. Unde Augustinus, in XII super Gen. ad Litt., cum quaesivisset, utrum spiritibus defunctorum sine corporibus possit summa illa beatitudo praeberi, respondet quod non sic possunt videre incommutabilem substantiam, ut sancti Angeli vident; sive alia latentiore causa, sive ideo quia est in eis naturalis quidam appetitus corpus administrandi.
RISPONDO: Ci sono due tipi di beatitudini: la prima imperfetta, possibile nella vita presente; la seconda perfetta, che consiste nella visione di Dio. Ora, è evidente che per la felicità di questa vita si richiede necessariamente il corpo. Infatti questa felicità è un'operazione dell'intelletto, sia speculativo che pratico. Ma nella vita presente non è possibile un'operazione dell'intelletto senza le rappresentazioni, le quali non possono prescindere da un organo corporeo, come abbiamo visto nella Prima Parte. Cosicché la beatitudine possibile in questa vita dipende in qualche modo dal corpo.
Intorno alla beatitudine perfetta, che consiste nella visione di Dio, alcuni hanno pensato che non possa essere attribuita a un'anima separata dal corpo; e affermano che le anime dei Santi separate dai corpi non raggiungono quella perfetta beatitudine prima del giorno del Giudizio, quando riprenderanno i loro corpi. Ma si dimostra la falsità di questa tesi, sia con argomenti di autorità che di ragione. Per l'autorità, ecco l'Apostolo che afferma: "Finché alberghiamo nel corpo peregriniamo lontani dal Signore"; e per mostrare di che natura sia codesta peregrinazione, aggiunge: "giacché per fede noi camminiamo, non per (diretto) intuito". Dalle quali parole si rileva che fino a quando uno cammina per fede e non per intuito, privo della visione dell'essenza divina, non è giunto ancora alla presenza di Dio. Invece le anime dei Santi separate dai corpi, sempre secondo l'Apostolo, sono presenti a Dio: "Siamo pieni di fiducia e teniamo in maggior conto peregrinare via dal corpo, per essere presenti al Signore". Perciò è evidente che le anime dei Santi, separate dai corpi, camminano per intuito, contemplando l'essenza di Dio, ciò che costituisce la vera beatitudine.
Tale conclusione s'impone anche per argomenti di ragione. Infatti l'intelletto ha bisogno del corpo nella propria operazione solo per le rappresentazioni nelle quali scorge la verità di ordine intelligibile, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Ora, è evidente che l'essenza divina non si può vedere mediante esse, come già fu dimostrato. E quindi, siccome la perfetta beatitudine dell'uomo consiste nella visione dell'essenza divina, la perfetta beatitudine umana non dipende dal corpo. Perciò l'anima può essere beata senza il corpo.
Bisogna però ricordare che una cosa può appartenere alla perfezione di un dato essere in due maniere. Primo, come costitutivo della sua essenza: l'anima umana, p. es:, è così richiesta alla perfezione dell'uomo. Secondo, come elemento integrativo, cioè come appartengono alla perfezione dell'uomo la bellezza del corpo e la prontezza dell'ingegno. Sebbene, dunque, il corpo non appartenga alla perfezione della beatitudine umana nella prima maniera, vi appartiene però nella seconda. Difatti, poiché l'operazione dipende dalla natura di una cosa, l'anima avrà tanto più perfettamente la sua operazione in cui consiste la beatitudine, quanto più perfetta sarà nella sua natura. Perciò S. Agostino, essendosi posto la questione, "Se gli spiriti dei defunti possano fruire senza il corpo della suprema beatitudine", risponde che "non sono in grado di vedere la sostanza incommutabile, come la vedono gli angeli, sia per qualche altra ragione più nascosta, sia perché c'è in essi un desiderio naturale di governare un corpo".

B. Summa Theologiae IIIª q. 59 a. 5
Videtur quod post iudicium quod in praesenti tempore agitur, non restat aliud iudicium generale. Post ultimam enim retributionem praemiorum et poenarum, frustra adhiberetur iudicium. Sed in hoc praesenti tempore fit retributio praemiorum et poenarum, dixit enim dominus latroni in cruce, Luc. XXIII, hodie mecum eris in Paradiso; et Luc. XVI dicitur quod mortuus est dives et sepultus in Inferno. Ergo frustra expectatur finale iudicium.
SEMBRA che dopo il giudizio che si svolge nel tempo presente non ci sia da attendere un giudizio universale. Infatti dopo l'ultima retribuzione dei premi e dei castighi, inutile sarebbe un altro giudizio. Ma in questo tempo presente viene già fatta la retribuzione dei premi e dei castighi; poiché il Signore disse al buon ladrone crocifisso: "Oggi sarai con me in Paradiso"; e nel Vangelo si legge, che "morì il ricco e fu sepolto nell'inferno". È inutile dunque attendere un giudizio finale.
...
1. Ad primum ergo dicendum quod opinio quorundam fuit quod animae sanctorum non praemiantur in caelo, nec animae damnatorum puniuntur in Inferno, usque ad diem iudicii. Quod apparet falsum ex hoc quod apostolus, II Cor. V, dicit, audemus, et bonam voluntatem habemus, peregrinari a corpore et praesentes esse ad dominum, quod est iam non ambulare per fidem, sed per speciem, ut patet ex his quae subsequuntur. Hoc autem est videre Deum per essentiam, in quo consistit vita aeterna, ut patet Ioan. XVII. Unde manifestum est animas a corporibus separatas esse in vita aeterna. Et ideo dicendum est quod post mortem, quantum ad ea quae sunt animae, homo sortitur quendam immutabilem statum. Et ideo, quantum ad praemium animae, non oportet ulterius differri iudicium. Sed quia quaedam alia sunt ad hominem pertinentia quae toto temporis cursu aguntur, quae non sunt aliena a divino iudicio, oportet iterum in fine temporis omnia haec in iudicium adduci. Licet enim homo secundum haec non mereatur neque demereatur, tamen pertinent ad aliquod eius praemium vel poenam. Unde oportet haec omnia existimari in finali iudicio.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Fu opinione di alcuni che le anime dei santi non vengono premiate in cielo né quelle dei dannati condannate all'inferno fino al giorno del giudizio. Ma la sua falsità appare evidente da quanto dice l'Apostolo: "Noi ci facciamo coraggio, e abbiamo la buona volontà di uscire dal corpo, e preferiamo uscire dal corpo, per andare a vivere presso il Signore"; e ciò significa non più "camminare per fede, ma per visione", come risulta dal seguito del testo. Ora, questo significa vedere Dio per essenza, il che, a detta di S. Giovanni, costituisce "la vita eterna". Perciò è evidente che le anime separate dal corpo godono la vita eterna.
Bisogna quindi affermare che dopo la morte l'uomo acquista uno stato immutabile per quanto riguarda l'anima. E di conseguenza per il premio dell'anima non c'è motivo di differire il giudizio. Ma essendoci altre cose riguardanti l'uomo che si svolgono per tutto il corso del tempo, e che non sono estranee al giudizio di Dio, è necessario che alla fine dei tempi siano anch'esse sottoposte di nuovo al giudizio. Infatti sebbene l'uomo in esse non possa né meritare, né demeritare, esse tuttavia rientrano nel premio o nel castigo. Perciò devono essere sottoposte al giudizio finale.

C. Contra Gentiles, lib. 4 cap. 91 n. 10
Si quis autem contradicere velit, dicens apostolum non dixisse, quod statim, dissoluto corpore, domum aeternam habeamus in caelis in re, sed solum in spe, tandem habituri in re: manifeste hoc est contra intentionem apostoli: quia etiam dum hic vivimus habituri sumus caelestem mansionem secundum praedestinationem divinam; et iam eam habemus in spe, secundum illud Rom. 8-24: spe enim salvi facti sumus. Frustra igitur addidit: si terrena domus nostra huius habitationis dissolvatur; suffecisset enim dicere: scimus quod aedificationem habemus ex Deo et cetera. Rursus expressius hoc apparet ex eo quod subditur: scientes quoniam, dum sumus in corpore, peregrinamur a domino: per fidem enim ambulamus, et non per speciem. Audemus autem, et bonam voluntatem habemus magis peregrinari a corpore, et praesentes esse ad dominum. Frustra autem vellemus peregrinari a corpore, idest separari, nisi statim essemus praesentes ad dominum. Non autem sumus praesentes nisi quando videmus per speciem: quandiu enim ambulamus per fidem et non per speciem, peregrinamur a domino, ut ibidem dicitur. Statim igitur cum anima sancta a corpore separatur, Deum per speciem videt: quod est ultima beatitudo, ut in tertio est ostensum. Hoc autem idem ostendunt et verba eiusdem apostoli, Philipp. 1-23, dicentis: desiderium habens dissolvi et esse cum Christo. Christus autem in caelis est. Sperabat igitur apostolus statim post corporis dissolutionem se perventurum ad caelum.

D. Compendium theologiae, lib. 1 cap. 178 (Quod poena damnatorum est in malis ante resurrectionem, i malvagi sono dannati già prima della risurrezione)
Sic igitur secundum praedicta patet quod tam felicitas quam miseria principaliter consistit in anima; secundario autem et per quamdam derivationem in corpore. Non igitur felicitas vel miseria animae dependet ex felicitate vel miseria corporis, sed magis e converso. Cum igitur post mortem animae remaneant ante resumptionem corporum, quaedam quidem cum merito beatitudinis, quaedam autem cum merito miseriae, manifestum est quod etiam ante resumptionem, animae quorumdam praedicta felicitate potiuntur, secundum illud apostoli II Corinth. V, 1: scimus quoniam si terrestris domus nostra huius habitationis dissolvatur, quod aedificationem ex Deo habemus domum non manufactam, sed aeternam in caelis; et infra: audemus autem, et bonam voluntatem habemus magis peregrinari a corpore, et praesentes esse ad dominum. Quorumdam vero animae in miseria vivent, secundum illud Luc. XVI, 22: mortuus est dives, et sepultus in Inferno.

E. De rationibus Fidei, cap. 9 (Quod est specialis locus ubi animae purgantur antequam vadant ad Paradisum, l'esistenza del purgatorio)
Sic ergo duo desideria sunt in nobis: unum naturae de terrena habitatione non deserenda; aliud gratiae de caelesti habitatione consequenda. Sed haec duo desideria simul impleri non possunt, quia ad caelestem habitationem pervenire non possumus, nisi terrenam deseramus. Unde cum quadam fiducia firma et audacia desiderium gratiae praeferimus desiderio naturae, ut velimus terrenam habitationem deserere, et ad caelestem pervenire: et hoc est quod subdit: audentes igitur semper, et scientes, quoniam dum sumus in hoc corpore peregrinamur a domino, per fidem enim ambulamus, et non per speciem, audemus et bonam voluntatem habemus magis peregrinari a corpore, et praesentes esse ad dominum. Ubi aperitur quod ipsum corpus corruptibile supra nominavit terrestrem domum huius habitationis, et tabernaculum; quod quidem corpus est animae quasi quoddam indumentum. Aperitur etiam quid supra dixerat domum non manufactam, sed aeternam in caelis: quia ipsum Deum, quem homines induunt, vel etiam inhabitant, dum ei praesentes existunt per speciem, idest videndo eum sicut est, peregrinantur autem ab ipso, dum per fidem tenent quod nondum vident. Desiderant ergo sancti peregrinari a corpore, idest ut eorum animae per mortem a corporibus separentur, ad hoc quod sic peregrinantes a corpore, sint praesentes ad dominum. Manifestum est ergo quod sanctorum animae a corporibus absolutae ad caelestem habitationem perveniunt Deum videntes. Non ergo sanctarum animarum gloria quae in Dei visione consistit differtur, usque ad diem iudicii, quo corpora resumunt.

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