9 agosto, festa di Santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, vergine e martire, compatrona d'Europa (1891-1942), ufficio delle letture
Nel novembre del 1940 la Priora del Carmelo affida a sr.
Teresa Benedetta della Croce il compito di fare uno studio su S. Giovanni della Croce, per la ricorrenza del
400.mo della nascita del dottore carmelitano (1542). La Stein ci lavorò fino al
momento del suo arresto, il 2 agosto del 1942. Per tale motivo, lo scritto - Kreuzeswissenschaft.
Studie über Joannes a Cruce, in italiano conosciuto come Scientia Crucis - non
ebbe una revisione complessiva e può considerarsi relativamente incompiuto. Lo
studio su S. Giovanni della Croce è per lei occasione per continuare ad
approfondire la sua filosofia della persona, su ciò che significa "io,
libertà, persona". Al centro del libro sta il simbolo della croce, che
occupa un posto centrale nello stesso percorso esistenziale della Stein. Non per
caso il suo nome in religione era "della Croce": ella avrebbe
accettato la sofferenza e la morte come partecipazione alle sofferenze del
Cristo.
La traduzione LO, tanto per cambiare, mi piace poco - anzi
punto. Ad esempio: "Cristo s'era addossato lui stesso il giogo della
legge, osservandola e adempiendola perfettamente, tanto da morire per la Legge
e vittima della Legge. Nello stesso tempo, tuttavia, Egli ha esonerati dalla
Legge tutti quelli che avrebbero accettata la vita da Lui". Qui si deve osservare
che 1. "esonerare" è una grave banalizzazione: Cristo ha liberato
dalla Legge, non solo esonerato da determinati precetti 2. tra la sottomissione
di Cristo alla Legge e la sua opera di liberazione non c'è opposizione
("tuttavia") ma coincidenza ("proprio facendo così ha liberato…")
3. il testo non stabilisce una successione temporale ("coloro che
avrebbero accettato") ma una contemporaneità, che è più forte e che non si
vede per qual motivo eliminare.
Pertanto offro una mia traduzione, insieme al testo
originale, premettendo un paragrafo che non c'è, che mi sembra meglio introdurre
il discorso. Due sole annotazioni: 1. i "giorni in cui era notte intorno a
lui, ma nella sua anima c'era luce", sono i momenti seguenti alla
conversione di Paolo, durante i quali egli rimase cieco (cf. At 9,9) 2. quando
scrive di una "guerra inesorabile contro la propria natura", si deve
aggiungere (mentalmente) "decaduta", come mostra il seguito: "per
far morire in essi la vita del peccato e fare spazio alla vita dello Spirito";
altrimenti ne risulta che la natura come tale è da combattere (il che è
erroneo).
Dall'opera Scientia Crucis di santa Teresa Benedetta della
Croce, Edith Stein, vergine e martire.
["In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge,
affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io,
ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nella carne, la vivo nella
fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me"
(Gal 2,19-20). In quei giorni in cui era notte intorno a lui, ma nella sua
anima c'era luce, lo zelatore della Legge ha riconosciuto che la Legge era
soltanto pedagogo nel cammino verso Cristo: poteva preparare a ricevere la
vita, non dare essa stessa la vita.]
Cristo ha preso su di sé il giogo della Legge, portandola a
pieno compimento e morendo per - e in virtù di - essa. Proprio con questo ha
liberato dalla Legge coloro che vogliono ricevere la vita da lui. Essi però
possono riceverla soltanto in quanto abbandonano la propria vita. Perché
"quanti sono battezzati in Cristo, sono battezzati nella sua morte"
(Rm 6,3). Essi s'immergono nella sua vita per divenire membra del suo corpo, e
come tali con lui soffrire e con lui morire, ma anche con lui risuscitare alla
vita eterna, divina. Per noi questa vita arriverà nella sua pienezza solo nel
giorno della gloria. Però già ora - "nella carne" - ne partecipiamo,
nella misura in cui crediamo: crediamo che Cristo è morto per noi, per darci la
vita. È questa fede che ci fa uno con lui, come le membra e il capo, e ci apre
alla corrente della sua vita. Così, la fede nel Crocifisso - la fede viva,
accompagnata dal dono di sé nell'amore - costituisce per noi l'accesso alla
vita, e l'inizio della gloria futura. Perciò la croce è il nostro unico titolo
di gloria: "Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore
nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso,
come io per il mondo" (Gal 6,14). Chi ha deciso per Cristo è morto per il
mondo, e il mondo per lui. Egli porta le stigmate del Signore nel suo corpo
(Gal 6,17); è debole e disprezzato di fronte agli uomini, ma proprio per questo
forte, perché la potenza di Dio è forte nella debolezza (2Cor 12,9).
Consapevole di questo, il discepolo di Gesù non soltanto accoglie la croce
posta sulle sue spalle, ma si crocifigge egli stesso: "Quelli che sono di
Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi
desideri" (Gal 5,24). Essi hanno condotto una guerra inesorabile contro la
loro natura, per far morire in essi la vita del peccato e fare spazio alla vita
dello Spirito. Quest'ultima è quello che conta. La croce non è fine a se
stessa. Essa si erge e indica l'alto. Ebbene, non è solo segno: è la forte arma
di Cristo, il bastone del pastore col quale il divino Davide affronta
l'infernale Golia; col quale batte potentemente alle porte del cielo e le
spalanca. Allora sgorgano le correnti della luce divina, e avvolgono tutti
quelli che sono al seguito del Crocifisso.
[„Durch das Gesetz bin ich ... dem Gesetz abgestorben, damit
ich Gott lebe; ich bin mit Christus an das Kreuz geheftet. Ich lebe aber, doch
nicht mehr ich lebe, sondern Christus lebt in mir. Sofern ich aber jetzt im
Fleisch lebe, lebe ich im Glauben an den Sohn Gottes, der mich geliebt und sich
selbst für mich dahingegeben hat“ (Gal 2,19-20). In jenen Tagen, als es Nacht
war um ihn, aber licht wurde in seiner Seele, hat der Eiferer für das Gesetz
erkannt, daß das Gesetz nur Lehrmeister war auf dem Wege zu Christus. Es konnte
vorbereiten auf den Empfang des Lebens, aber selbst kein Leben geben.]
Christus hat das Joch des Gesetzes auf sich genommen, indem
Er es vollkommen erfüllte und für und durch das Gesetz starb. Eben damit hat Er
die vom Gesetz befreit, die von Ihm das Leben empfangen wollen. Aber sie können
es nur empfangen, wenn sie ihr eigenes Leben preisgeben. Denn die auf Christus
getauft sind, sind auf Seinen Tod getauft (Rm 6,3-ss.). Sie tauchen unter in
Sein Leben, um Glieder Seines Leibes zu werden, als solche mit Ihm zu leiden und
mit Ihm zu sterben, aber auch mit Ihm aufzuerstehen zum ewigen, göttlichen
Leben. Dieses Leben wird in seiner Fülle für uns erst kommen am Tage der
Herrlichkeit. Wir haben aber jetzt schon – „im Fleisch“ – Anteil daran, sofern
wir glauben: glauben, daß Christus
für uns gestorben ist, um uns das Leben zu geben. Dieser Glaube ist es, der uns
mit Ihm eins werden läßt wie die Glieder mit dem Haupt und uns öffnet für das
Zuströmen Seines Lebens. So ist der Glaube an den Gekreuzigten – der lebendige
Glaube, der mit liebender Hingabe gepaart ist – für uns der Zugang zum Leben
und der Anfang der künftigen Herrlichkeit; darum das Kreuz unser einziger
Ruhmestitel: „Ferne sei es von mir, mich zu rühmen; außer im Kreuz unseres
Herrn Jesu Christus, durch den mir die Welt gekreuzigt ist und ich der Welt“
(Gal 6,14). Wer sich für Christus entschieden hat, der ist für die Welt tot,
und sie für ihn. Er trägt die Wundmale des Herrn an seinem Leibe (Gal 6,17),
ist schwach und verachtet vor den Menschen, aber gerade darum stark, weil in
den Schwachen Gottes Kraft mächtig ist (2Cor 12,9). In dieser Erkenntnis nimmt
der Jünger Jesu nicht nur das Kreuz an, das auf ihn gelegt ist, sondern
kreuzigt sich selbst: Die Christus angehören, haben ihr Fleisch gekreuzigt mit
seinen Lastern und Begierden (Gal 5,24). Sie haben einen unerbittlichen Kampf
geführt gegen ihre Natur, damit das Leben der Sünde in ihnen ersterbe und Raum
werde für das Leben des Geistes. Auf das Letzte kommt es an. Das Kreuz ist nicht Selbstzweck. Es ragt empor und weist
nach oben. Doch es ist nicht nur Zeichen - es ist die starke Waffe Christi; der
Hirtenstab, mit dem der göttliche David gegen den höllischen Goliath auszieht;
womit er machtvoll an das Himmelstor pocht und es aufstößt. Dann fluten die
Ströme des göttlichen Lichtes heraus und umfangen alle, die im Gefolge des
Gekreuzigten sind.
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