Testori e I Promessi Sposi, ovvero la fede come via di salvezza

Il teatro mette in scena se stesso. Mediante il ricorso al "teatro di teatro", Giovanni Testori offre la sua lettura del celebre capolavoro di Manzoni. Una compagnia teatrale mette in scena I Promessi Sposi, e la prova teatrale diviene prova non solo di quel testo, ma della vita. Perché il teatro è parola che si fa realtà, carne e vita, e perciò prova e verifica della parola scritta. La dinamica chiave individuata da Testori è quella del potere. È il gusto per il potere a mettere in moto, nella prepotenza di don Rodrigo, l'intera vicenda. Ma si tratta di un gusto opportunamente colto nella radice spirituale. Si tratta alla fine della ribellione stessa di Satana, che pretende di assoggettare Dio stesso alle proprie condizioni, mettendolo al proprio servizio. In questo senso il signorotto spagnolo del XVII secolo diviene icona dell'uomo "davvero moderno", vero innovatore nel quale si specchia un'epoca che nega Dio per affermare l'uomo. Anche l'Innominato viene colto (della sua conversione non si narra) nella fascinosa e mortifera vertigine di un laghetto che anela dilatarsi a dismisura fino a diventare, nell'offuscamento di una esaltazione distruttiva, mare. La medaglia dell'autoaffermazione illimitata presenta necessariamente un'altra faccia: l'oppressione (eventualmente la soppressione) dell'altro. La cosa risalta particolarmente evidente nel caso della monaca di Monza, personaggio al quale Testori dà grande risalto. La sua sventura è infatti determinata all'origine da un atto di potere dei suoi genitori, i quali per ragioni di convenienza sociale la costringono al convento. Ella è già "abusiva" (clandestina, diremmo oggi) nel grembo materno; e in tale condizione si manterrà per tutta la vita. Nascendo e vivendo sotto il segno di una forza che le si impone, grida contro la Provvidenza, reagendo come può ed entrando nell'illegalità. In fondo domanda solo di "essere se stessa". Ma anche questa strada – uno degli slogan indiscutibili, veri dogmi laici del nostro tempo, che Testori non manca di sbeffeggiare – è illusoria. Poché anche qui siamo alla fin fine di fronte a una autoaffermazione, sia pure perdente, a scapito dell'altro. No, la strada è un'altra, ed è quella rappresentata dalla popolana Lucia: la fede, che emerge come effettiva salvezza. In questo dramma di "domestica infinitezza", in questa peripezia di gente umile e di cose di casa, emerge con chiarezza l'anelito dello spirito umano al superamento del proprio limite; e albeggia un'aurora. Nella luce che comincia a rischiarare i luoghi della vita quotidiana si intravede la via vera all'autotrascendimento: non l'autoaffermazione, bensì l'affidamento di sé nelle mani di quel Dio che "abbassa i superbi ed esalta gli umili". Importante lettura di un grande testo.

23-28 Novembre 2010, teatro Metastasio (Prato), I Promessi Sposi Alla Prova, di Giovanni Testori; regia di Federico Tiezzi.

Commenti

Post popolari in questo blog

Ego sum Via

Le Nozze

Filautia, piacere e dolore nella Questione 58 a Talassio di S. Massimo il Confessore