Grief & Beauty

Spettacolo «pesante» Grief & Beauty, ma in senso positivo: fa sentire il suo peso. Basta osservare un attimo all'uscita gli spettatori, certamente pensierosi ma anche probabilmente sollevati dalla fine di quel confronto con la morte che normalmente si preferisce francamente scansare. Bisogna dunque dare atto a Milo Rau di un coraggio notevole nel chiamare il pubblico a un impegno del genere. Non si tratta infatti di uno spettacolo sull'eutanasia, pur se questo ne costituisce certamente un aspetto, ma sulla morte. Spettacolo originale, che si avvale in modo strutturale della commistione fra teatro e cinema (Rau è anche regista cinematografico), e felicemente mai approda all'ideologia, rimanendo sempre sul piano di una partecipe osservazione della vicenda umana. Gli stessi attori mettono in gioco la loro vita, la loro esperienza personale nello spettacolo, creando con il pubblico un circolo di sim-patia, tutti quanti con questo «fischio» dell'«essere-per-la-morte» persistente nell'orecchio. La parte migliore e più consistente dello spettacolo è dedicata al racconto di una umanità amante e dolente, in bilico tra dolore e bellezza, come del resto le arti hanno inteso da sempre fare. Esemplare da questo punto di vista il celebre (per chi frequenta il repertorio barocco), struggente e bellissimo lamento di Didone morente When I am laid in earth («Remember me!») nell'Opera Dido and Aeneas di Purcell, più volte risuonante sulla scena. La questione eutanasia pare meno ideologizzata che registrata (è il caso di dirlo). Lo spettatore è portato, al di là delle posizioni contrapposte, a fermarsi semplicemente davanti a una persona che sceglie di programmare tempi e modalità della propria morte. L'impetuoso torrente della morte viene per così dire imbrigliato e costretto nei limiti impostigli dalla moderna tecnica medica. Sotto questo aspetto non si sfugge all'impressione di una risposta alla questione morte che in definitiva si risolve in un suo imbellettamento, ossia nella costruzione di una serie di condizioni e motivi più o meno razionali per i quali si può morire «con il sorriso», dopo un sereno brindisi alla vita. «Ho riscaldato entrambe le mani al fuoco della vita; esso langue ed io sono pronto a partire» (Landor). I did it my way (e anche questa si ascolta). Se la cosa sia plausibile, ciascuno lo giudichi da sé. Registriamo soltanto che la vicenda di Gesù ci presenta un quadro ben diverso, ove la morte è vissuta con tensione altissima e l'agonia culmina (secondo Matteo e Marco) in un alto, potente, misterioso grido. Ma questo è uno spettacolo compiutamente post-cristiano, nel senso che la visione cristiana del morire e della morte non compare proprio, nemmeno in senso polemico. L'orizzonte è quasi interamente occupato dall'aldiqua. L'aldilà è presente con lievi tocchi, tra i quali la prospettiva più identificabile è l'analogia tra la morte e i cosmici «buchi neri» nei quali la materia tornerebbe al suo «stato primigenio»: così il materiale umano entrato nella morte potrebbe tornare – chissà – a una non meglio identificata condizione originaria. E così si esce dal teatro con l'irrefrenabile voglia di gridare a tutti: Surrexit Christus, alleluia!

Grief & Beauty, regia di Milo Rau; testo di Milo Rau & Ensemble, con Arne De Tremerie, Anne Deylgat, Princess Isatu Hassan Bangura, Gustaaf Smans, Johanna B. (in video); drammaturgia di Carmen Hornbostel; musica dal vivo Clémence Clarysse. Prato, teatro Metastasio, 8-9 ottobre 2022.

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