Il Gabbiano
Succedono moltissime cose - un mondo di cose - in questa «campagna nella quale non succede mai nulla» che è ambiente del Gabbiano. Il talento di Cechov ci squaderna una quantità di dinamiche nelle quali non si tarda a riconoscere la quotidianità in cui siamo immersi. I personaggi si muovono e si agitano senza sosta e senza poter trovare requie, alla ricerca di qualcosa che non solo non trovano, ma nemmeno sanno esattamente che cosa sia. Unica cosa certa è l'affanno. Stat crux dum volvitur orbis: l'antico motto certosino («la croce sta ferma mentre il mondo gira»), di per sé ben distante dal mondo di Cechov, sembra tuttavia offrire una chiave di lettura quanto mai calzante (prescindendo qui dalla sua esatta esegesi). In mezzo al turbinio delle azioni e delle passioni, l'unica realtà che rimane ferma e costante è - per tutti - la croce; o se vogliamo, in termini più cechoviani, il fallimento. Ciò nonostante, Cechov non è un nichilista. Egli propone comunque un'apertura di credito alla vita e al suo senso, apertura che, se non è esplicitamente cristiana, si serve pur tuttavia, nel decisivo ultimo monologo di Nina, di una terminologia chiaramente cristiana. Perché Nina, soprendentemente, alla fine parla di croce, di fede, di pazienza, di vocazione. «Gabbiano» è ogni uomo, assurdamento colpito dalla vita e quasi abbattuto nel volo delle sue speranze e sogni. Certo, prima di tutto sono gabbiano Nina, ella stessa lo afferma in modo esplicito, e Konstantin, che assume l'animale a simbolo del suo prossimo stato di morte. In effetti sono questi anche i personaggi polarmente opposti e attraenti, vicini e lontani, che meglio paiono esprimere l'essenza del dramma: l'una che in qualche modo trova una strada, l'altro che come unica risposta sa trovare soltanto la (propria) morte; l'una che, dopo un percorso faticoso partito dall'abbagliante fascino del successo e della notorietà, arriva a confermare il suo amore, per quanto infelice, e la sua fiducia nella vita; l'altro che invece non riesce a trovarle un senso, fino a rifiutarla. In mezzo a questi due opposti si muovono gli altri personaggi, ciascuno nel proprio labirinto, ciascuno con i suoi problemi e le sue soluzioni, comunque insoddisfacenti. Particolarmente attuale l'attrice-madre Irina, precorritrice degli odierni adulti eternamente giovani che, rubando il posto ai giovani veri, ne frenano la maturazione. Che cosa dunque rimarrà alla fine, dopo che i secoli saranno passati e le vite spente? Nel «teatro nel teatro» scritto da Konstantin si fa appena in tempo a intravederlo: non il niente, come qualcuno (Sorin) vorrebbe, ma una misteriosa vittoria sul male, i cui precisi contorni ci sfuggono. Il dramma infatti, distrutto dal suo stesso autore, è oramai andato perduto per sempre, e l'interrotta rappresentazione non sarà mai più ripresa. Rimane però il teatro (in senso materiale e non). Nessuna «morale a buon mercato» e pronta all'uso: a ciascuno il compito di proseguire nella ricerca.
Il gabbiano, di Anton Cechov; adattamento e regia di Licia Lanera; Prato, Teatro Metastasio, 11-15.12.2019 [Guarda come nevica 2.]
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